Slowdive
Just For A Day

1992, Creation Records
Shoegaze

Recensione di Alberto Battaglia - Pubblicata in data: 21/06/11

Fra i grandi album dell'underground Shoegaze di inizio '90 "Just For A Day" completa il triangolo iniziato da "Nowhere" dei Ride e "Loveless" dei My Bloody Valentine. Fra questi gli Slowdive incarnano l'anima più dolce, malinconica, sognante e introspettiva del genere.

Le caratteristiche del loro impasto sonoro si distiguono nel largo uso delle tastiere per la composizione del classico wall of sound, ritmiche assai meno nervose rispetto alla media del genere e il gusto spiccato per il dettaglio in opposizione alla furia noise dei gruppi che, più o meno strettamente, si ispiravano ai Sonic Youth. L'estetica degli Slowdive riprende piuttosto i Cocteau Twins e mira soprattutto all'intimità dell' ascoltatore. Gran parte dei loro pezzi hanno un potere suadente quasi subliminale. Fra gli elementi alla My Bloody Valentine restano soprattutto le armonie vocali fra voce maschile e femminile e l'amore per l'effettistica di chitarra, sebbene usata dai Nostri in modo assai più discreto rispetto ai colleghi irlandesi.

L'album si apre con un pezzo che è già una meraviglia: "Spanish Air" rintocca cupo e struggente nelle orecchie. Le chitarre sono echi ritmici mentre le tastiere attraversano ogni cosa, e giunti al ritornello, repentine scosse elettriche si combinano ad un mesto violoncello per un risultato di grandissimo impatto. Si prosegue più sereni con "Celia's Dream",  per poi conoscere un altro capolavoro del disco: "Catch The Breeze". Il registro qui parte oscuro per decollare in un ritornello pienamente sognante, con la voce di Rachel Goswell che accarezza i sensi. Nelle retrovie non mancano mai le sei corde usate come un tappeto rovente, ma nella stupenda coda del brano tutti gli strumenti esplodono e si rincorrono a turno: prima irrompono le chitarre, poi le tastiere, infine cascate di feedback che suonano come echi oceanici.  "Ballad of Sister Sue" sembra quasi una filastrocca a tempo di valzer, non fosse per le amare e maliconiche melodie, rese evocative, ancora una volta, dall'uso ben articolato delle due voci. Dopo la divagazione ambientale di "Erik's Song" un altro apice viene toccato da "Waves": forse la più cullante e narcotica del ricco assortimento offerto. I cori qui ricordano i loro amici Ride, mentre la melodia spazia su territori che non si possono che descrivere eterei ai massimi livelli, fra ogni genere di lucentezza sonora. Su territori analoghi si muove anche la seguente "Brighter", mentre "The Sadman" tesse sonorità ammalianti e sensuali, sospese fra riverberi e cori celestiali. Conclude la scaletta "The Primal" e lo fa con toni molto lontani dalla speranza, anzi, dopo poco si passa alla disperazione (modulando la tonalità in minore), alla fine tutto viene inghiottito da una frastornante distorsione, lasciando l'impressione che il sogno non sia durato che per poco. Appena per un giorno, appunto.

"Just For A Day", volendo trovare una pecca, può mancare un po' di nerbo nella sezione ritmica, complice anche una produzione non limpidissima; al di là di queste note a margine, tuttavia, parliamo certamente di un grande disco, meditativo e affascinante, che non può che avvolgere come nell'aura d'una agrodolce solitudine.



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