Pain
You Only Live Twice

2011, Nuclear Blast
Industrial Metal

Recensione di Davide Panzeri - Pubblicata in data: 11/07/11

La musica è tutto per me. Ho attraversato due divorzi e un intero periodo di merda a causa sua, ma rimane la cosa più importante al mondo per me. Potrei perdere tutto, ma non la musica”.

Così parla Peter Tägtgren, straordinario musicista e compositore, ormai diventato una certezza in ambito musicale e rispettato dai più. Peter e i suoi Pain, attivi ormai dal 1996 , giungono al settimo studio album, davvero un traguardo notevole se consideriamo che questa band altro non era che il passatempo di Tägtgren all’epoca degli Hypocrisy.

Con “You Only Live Twice”, i Pain tornano ai classici stilemi degli album passati, pochi giri di parole: molta truzzaggine, molti refrain canterecci e svariati copia-incolla (ahimè, aggiungerei). Dopo il mezzo passo falso di “Cynic Paradise” era auspicabile una netta ripresa, nonché una decisa schiacciata sull’acceleratore, che però non si è realizzata nella sua totalità. L’album, composto da nove tracce, è sì piacevole, scorrevole ed immediato, ma l’evidente problema di fondo rimane, ovvero quella brutta sensazione di dejà-vu che si ha non appena si finisce di ascoltare una canzone. Purtroppo, questa cosuccia non fa molto bene all’album e va ad incidere pesantemente sul giudizio finale. Ad ogni modo, non spaventatevi, non siamo di fronte a una schifezza (anzi), solo non siamo più di fronte alla novità, e l’effetto sorpresa è drasticamente ridotto ai minimi termini.

Brani spinti, meccanici, elettronici ci sono e faranno sicuramente piacere a moltissimi di voi. “Let Me Out”, con il suo incedere incalzante e martellante, è la giusta opener per l’album, “Feed the Demons” fa da bridge alla più eccentrica “The Great Pretender”, che punta tutto sul cantereccio refrain accompagnato da un interessante giro di tastiera, “You Only Live Twice”, che fa il verso a “Same Old Song” (saranno gli archi sintetizzati a ricordarmela così tanto?), e “Dirty Woman”, dove Peter sembra essersi tramutato in Brian Johnson degli Ac/Dc e così via. C’è spazio anche per un momento più “calmo”, se così posso definirlo, come nel caso di “Leave Me Alone”, pezzo che chiude in definitiva l’album a causa di una piattezza di fondo a tratti imbarazzante delle due tracce conclusive.

Non ho nessun dubbio sul fatto che molte canzoni contenute in questo “You Only Live Twice” saranno fenomenali e devastanti dal vivo (come la maggior parte dei brani dei Pain, onestamente), ma in questa sede deludono un po’, e francamente dopo così tanti album si poteva anche aspettarselo. La produzione, per quanto di altissimo livello non può ovviamente salvare il disco e una band, che ora più che mai, ha davvero ancora poco da dire in studio ma che live, fortunatamente, sa ancora fare la sua porca figura (se mai dovessi dire una cosa del genere a Peter penso che potrei venire divorato all’istante, ma si sa, la verità a volte fa male).




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