Local Natives
Hummingbird

2013, Infectious Music
Indie Rock

Recensione di Chiara Frizza - Pubblicata in data: 20/02/13

Ritornano sulle scene i californiani Local Natives, freschi di pubblicazione del loro secondo full-length “Hummingbird”. Pubblicato il 29 gennaio scorso dopo un intenso lavoro di registrazione con la collaborazione attiva del produttore Aaron Dessner – qui in veste non solo di produttore, ma vera e propria parte integrante del processo di arrangiamento e composizione dei brani – questo nuovo album continua sulla scia sonora costruitasi nel lavoro d’esordio, “Gorilla Manor”. Con una differenza: se il debutto conteneva un insieme di influenze musicali piuttosto varie e poco integrate tra loro, caratterizzate da un suono piuttosto grezzo e acerbo,  il successore, forte anche di una produzione meno fai-da-te e più professionale, riesce in qualche modo a limare le asperità.

La proposta dei Local Natives è un indie rock dalle influenze folk e psichedeliche, chitarre prese in prestito dal pop e una batteria altalenante tra beat nervosi da new wave (alcuni passaggi sembrano rubati ai Duran Duran) e post-rock a ritmi più soft. L’intero album si compone di momenti altalenanti, in cui brani lenti e dall’atmosfera ovattata vengono soppiantati da altri, più veloci ed elettrizzanti, passaggi che ricordano il folk rock tipico americano, di cui Bob Dylan e Leonard Cohen sono gli esponenti principali, che lasciano lo spazio a sonorità à la The Smiths. Se questo tipo di struttura domina l’album da cima a fondo, altrettanto succede all’interno delle tracce stesse: rapide alternanze di un certo tipo di sonorità ed un altro che ne è spesso l’opposto, fino a fondersi insieme (“Ceilings”, “Breakers” e “Mt.Washington” ne sono alcuni esempi).

Va detto, per interessante che possa essere, non si tratta di un mix particolarmente innovativo o originale: l’influenza dei colleghi Death Cab For Cutie e di mostri sacri come i Radiohead (“Three Months” è molto radioheadiana) si sente, forse anche un po’ troppo. Si tratta sì di un genere musicale in cui è facile introdurre elementi nuovi o unire sonorità anche molto diverse tra loro, ma da diversi anni a questa parte è diventato piuttosto difficile riuscire a farlo in modo del tutto nuovo, senza finire a creare qualcosa di già sentito. Da questo punto di vista, i Local Natives dimostrano di avere ancora un po’ di strada da percorrere, e forse la chiave sta nell’evitare la sperimentazione forzata che sembra essere stata alla base della realizzazione di questo album.



01. You & I
02. Heavy Feet
03. Ceilings
04. Black Spot
05. Breakers
06. Three Months
07. Black Balloons
08. Wooly Mammoth
09. Mt. Washington
10. Columbia
11. Bowery

Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool