Paradise Lost
Draconian Times - Legacy Edition

2011, Sony Music
Gothic

Vivere in tempi draconiani non è mai stato così intenso e meraviglioso.
Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 02/08/11

Nel 1995 nasceva quello che verrà ricordato come uno dei dischi più importanti del gothic metal, ovvero “Draconian Times” degli inglesi Paradise Lost. Oggi, Sony Music decide di riproporre sul mercato tale opera donandole una nuova veste, sia sonora che grafica, e denominando il tutto “Legacy Edition”. Non ci sono particolari ricorrenze per tale riedizione: il quindicennale del disco cadeva l’anno scorso, per cui si può malignamente pensare a diritti e concessioni prossimi alla scadenza, oppure si può benignamente credere che era davvero il caso di dare una confezione degna ad un’Opera d’Arte con la “A” e la “O” maiuscole. Qualunque sia la causa (e la vostra scuola di pensiero), vediamo nel dettaglio in primis le ragioni dell’importanza di questo capolavoro della musica, e secondariamente cosa ci ha riservato Sony in questa sfavillante riedizione. Cominciamo, dunque, insieme un viaggio di nera disperazione.

VIVERE IN TEMPI DRACONIANI

Le leggi draconiane sono notoriamente severe, dure e spietate: allo stesso modo devono essere stati i Paradise Lost nel momento in cui hanno confezionato quest’opera discografica, nata dopo l’ennesimo scossone in lineup che ha visto l’allontanamento di Matthew Archer alla batteria (il primo di una lunga serie di batteristi a cadere nella storia dei Nostri). Oggi, a posteriori, sappiamo tutti quanto significativo fu questo disco, ma è bene ribadire le circostanze in cui è nato, che vedevano un gothic metal (genere definito “gothic” proprio grazie all’omonimo album dei Paradise Lost del 1991 – è bene ricordarlo) eccessivamente ancorato sui canoni del doom e del black metal, con pochissime formazioni dedite all’esplorazione del suo lato più melodico e malinconico. Una di queste band furono certamente i Paradise Lost, poiché da coloro che hanno definito un genere, è bene anche aspettarsi le linee guida che possano indicare come tale genere possa evolversi, una via già mostrata dalla band nel precedente “Icon” ma che solamente in questo inciso trova la sua perfetta espressione.

La forza di “Draconian Times”, la stessa che concesse ai Paradise Lost un inatteso successo commerciale, non è solo la sensazione di avere a che fare con una band finalmente matura e completamente padrona delle proprie capacità ed ispirazioni, ma è anche e soprattutto il senso della più nera disperazione rappresentata attraverso una musica non particolarmente oscura, eppure meravigliosamente dannata. Basta ascoltare “Forever Failure”, capolavoro indiscusso arricchito dal celebre discorso di Charles Manson ripreso dal documentario “Charles Manson – The Man Who Killed The 60s”: una canzone che parte come un’accoltellata nello sterno, con un Nick Holmes sferzante ed autenticamente angosciato a ricordarci la miseria in cui può ricadere la nostra vita senza alcun preavviso, una ferita da cui sgorgano fiotti di sangue che scorrono ancora più copiosi grazie alle note intessute con magistrale intuizione da Gregor Mackintosh, un chitarrista che, su questo disco, non sbaglia neanche una nota o un assolo, intervenendo spesso a chiudere i vari brani con code strumentali di straordinaria intensità.

Il doom è ancora un elemento fortemente avvertibile nella musica dei Paradise Lost, i cori epici e dannati con cui si apre il disco su “Enchantment” e la spossatezza con cui incede la conclusiva “Jaded” sono costantemente lì a ricordarcelo, ma in questo inciso c’è molto di più, e la band non gioca affatto facile spegnendo la gioia di vivere che c’è in noi anche su brani veloci ed accattivanti come “The Last Time” e “Yearn For A Change”, o sul refrain tipicamente metal (al limite del thrash) di “Once Solemn”. In questo disco, poi, trovano per la prima volta vera espressione le tastiere, un tocco delicato che pulsa con estremo vigore sia nella già citata “Enchantment” che nella superba “Hallowed Land”, un preludio a ciò che sarà successivamente la  tanto contestata virata elettronica dei Nostri.

Confezionato da liriche ad opera di Holmes che sono la quintessenza del disagio di vivere e della lotta interiore, non si fatica a credere come “Draconian Times” possa essere diventato il disco leggendario qual è: perché esso parla il linguaggio universale della disperazione con una leggerezza unica, attraverso una musica sì pesante ma anche, altrettanto, melodica, un messaggio sonoro semplicemente senza tempo che sarà destinato ad incantare ed affascinare ancora molte generazioni a venire, ve lo garantisco.

UN MERAVIGLIOSO LASCITO

La riedizione a cura di Sony e Music For Nations è davvero totale. Cominciamo dal contenuto effettivo dell’opera, ovvero un cd ed un dvd. Sul primo ritroviamo l’intero album doverosamente rimasterizzato ed addizionato di 7 bonus track: due demo tra cui un’inedita (“Last Desire”, brano che fa rimpiangere il fatto che non sia stato ulteriormente rifinito per comparire ufficialmente nella scaletta del disco) e cinque tracce live. Fin qui nulla di straordinario: il remaster è certamente curato, mentre i bonus effettivamente canonici.

Ma è con il dvd, miei cari lettori, che questa edizione si distingue. Tale dischetto, difatti, contiene tutto l'album remixato non solo nel canonico Dolby Digital 5.1, ma anche in una sfavillante traccia DTS, di una cristallinità e precisione tale che vi sembrerà di avere Nick Holmes a cantare all’interno della vostra stanza d’ascolto. Inoltre, scordatevi le immagini statiche brucia-televisori tipiche di operazioni di questo tipo, poiché durante l’ascolto della versione multicanale di “Draconian Times” verrete accompagnati da sfondi sempre diversi ed un indicatore  a schermo, tutto perfettamente allineato all’artwork dell’opera. Chiude il versante contenutistico del dvd tutti i video promozionali estratti dall’opera discografica, riproposti senza troppe rielaborazioni audio/video degne di menzione.

Passando, invece, al lato dell’involucro che contiene i due dischi, qui bisogna solo togliersi il cappello ed inchinarsi di fronte a tanta magnificenza: confezione hardbook con carta iridescente per la front e la back cover, con pagine interne in cartone talmente spesso, che risulta effettivamente difficile scorrere il booklet. Booklet in cui si può ammirare non solo una versione estesa del già significativo artwork originale del 1995 di “Draconian Times” ad opera dell’artista Holly Warburton, ma anche leggere delle preziose liner notes scritte dai membri della band che spiegano numerose curiosità avvenute in seno alla formazione durante la registrazione del disco. Di fronte a tanta perfezione, stona in modo incredibile la svista di aver invertito l’ordine delle pagine con i testi/artwork di “Elusive Cure” e “Shadow Kings”, una finezza che, date le circostanze, diviene una mancanza decisamente macroscopica.

POST SCRIPTUM

Molti avrebbero voluto i Paradise Lost ancorati al modello musicale che è presente in questo inciso, ma la band di Holmes & Mackintosh non è mai stata incline all’immobilismo, per cui il loro percorso evolutivo, con gli anni, è sempre stata una meravigliosa costante. Quello che urge definire con chiarezza, in conclusione di questo articolo, è il fatto che oggi ci ritroviamo con un album seminale (tutto il gothic che va per la maggiore oggi non ci sarebbe se non fossero esistiti i Paradise Lost prima, e “Draconian Times” poi) confezionato con tutta la dignità che compete all’opera. Una riedizione, quindi, semplicemente imperdibile, sia per chi già possiede la stampa originale datata 1995, sia per chi è colpevole del peccato mortale di non avere in collezione questo titolo.

Si potrebbe arrivare ad osare scrivere, senza neanche troppo esagerare, che laddove Anathema e My Dying Bride ebbero fallito all’epoca nel cercare di aprire al mondo un'intera scena musicale, i Paradise Lost riuscirono con clamoroso successo. E lo fecero, semplicemente, parlando una lingua aliena, draconica, eppure, in qualche misterioso modo, comprensibile da pressoché chiunque.

E ricordate: life is all the pain we endeavor.



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