La Blanche Alchimie
Galactic Boredom

2011, Ponderosa Music Arts/Universal
Indie

Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 29/08/11

L'alchimia: l'arte dell'unione di elementi apparentemente inconciliabili, la ricerca spasmodica della fusione impossibile, tutto per portare alla luce un risultato che ha il meraviglioso sapore dell'imprevisto. L'alchimia è una scienza talmente perfetta per spiegare la musica del duo milanese dei La Blanche Alchimie, che essi stessi l'hanno inclusa all'interno del loro nome.

Gli elementi a destra della reazione, come ho già detto, sono due: lei, Jessica Einaudi, splendida voce dai colori intensi e multipli, proprio come gli strumenti che è in grado di suonare, dedita da anni allo studio della forma più sperimentale dell'espressività della canzone; e lui, Federico Albanese, anima più classicamente rock, una voce morbida e quieta a fungere da perfetto contrappunto a quella di Jessica, proprio come, nella musica dei Nostri, la chitarra riesce ad abbracciare, con estrema naturalezza, il pianoforte. Insieme, questi due reagenti così diversi non si mettono al servizio di una fusione in grado di portare ad un accomodante punto in comune delle rispettive influenze musicali, ma, proprio come una perfetta reazione alchemica impone, il prodotto di reazione è un sorprendente chamber pop minimale quanto emotivamente intenso, una forma musicale già presentata con discreto successo nel debutto discografico omonimo ma che, in questo inciso, trova una condensazione ancora più efficace e maestosa.

Registrato in soli cinque giorni tra Milano, Berlino e le Langhe, sotto l'attenta supervisione di Ludovico Einaudi - padre di Jessica, nonché stimato musicista qui per la prima volta in carriera in veste di produttore artistico - “Galactic Boredom” è un disco che vive di umori diversi, tutti chiaramente identificabili all'interno dell'opera. Si parte, ad esempio, su un tappeto elettronico oscuro di chiara matrice wave che, inaspettatamente, si apre ad un'esplosione “post” grazie al pianoforte in “Black Girl”, un concetto - quello del crescendo post - ribadito con convinzione maggiore sulla magistrale titletrack, dove una rapsodia di archi fa letteralmente decollare la melodia verso lidi di magnifica altitudine astrale, o nel primo singolo “Fireflies”, dove la giocosità del Glockenspiel si contrappone splendidamente alla drammaticità del violoncello su un ritornello che è pura meraviglia.

Ancora, si riscontrano chiaramente dei mood maggiormente rock di carattere quasi blues (“BlackBerry Lips” o, ancora meglio, “Cellar Disco Club”, dove si trova per la prima ed unica volta una sezione ritmica chiaramente identificabile), oppure la meravigliosa rilettura assolutamente personale delle epiche atmosfere della folktronica del grande Nord (l'ampissimo respiro di “Temples Burning”, la tastiera scherzosa di “Sound Of Marbles”), per non parlare di quello che le sole voci e chitarre dei Nostri riescono a creare sulla minimale “My Ear Is A Shell”, una ballata soffice e delicata come una nuvola che colora l'orizzonte di un tramonto in riva al mare.

Quando il disco di ferma, inevitabilmente, su di un Robert Smith legato al letto che guarda, anziché impaurito, rabbioso lo spaventoso ragno che lo ha paralizzato ed intrappolato (“Paralyzed”), non possiamo che constatare come l'obiettivo della band sia stato pienamente centrato. Con liriche incentrate sul disagio derivato dall'alienazione e dal senso di libertà che l'arte può arrecare donando immediato sollievo da tale fardello, “Galactic Boredom” è un'opera che trasuda un'incredibile quantità di carattere, tanto che non la si fa fatica ad immaginare sconfinare all'estero, e raccogliere unanimi consensi anche oltre i nostri italici confini, oltre ad essere una perfetta cura contro l'esterofilia che governa l'umore di una certa critica “per bene”. Incredibile, difatti, la cura nell'arrangiamento, la squisitezza delle melodie, la sfuggevolezza dei riferimenti musicali dei Nostri, tutti in un qualche modo identificabili, eppure non perfettamente esprimibili a parole.

E, in fondo, non c'è niente di meglio che avere opere discografiche come questa in collezione quando ci si scopre annegati in un mare di “Galactic Boredom”, lavori che, con la loro personalità e la loro capacità di emozionare, sono il perfetto salvagente in grado di tenerci a galla in questo dilagante oceano di mediocrità.



01. Black Girl
02. Galactic Boredom
03. Fireflies
04. Blackberry Lips
05. Cellar Disco Club
06. My Ear Is A Shell
07. Spell On The Hill
08. Temples Burning
09. Sound Of Marbles
10. Paralyzed

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