Avevamo lasciato gli Svartsot con il loro secondo album “Mulmets Viser”, che fondamentalmente aveva confermato quanto di buono introdotto e suonato nel loro debut album, ma che non aveva soddisfatto appieno le aspettative. Il terzo disco è sempre una mina vagante, un lavoro in grado di affossare una band o di lanciarla nell’olimpo (pagano) delle band di successo, capace di azzerare anni di gavetta e duro lavoro e di tagliare le gambe a tutti coloro che pensavano di avercela definitivamente fatta.
Questo “Maledictus Eris” si pone esattamente nel mezzo. Non convince, non esalta, non stupisce, non innova e non tenta nemmeno una piccola deviazione rispetto alla tranquilla e sicura autostrada che il combo danese sta percorrendo. Le tematiche affrontate nel nuovo platter raccontano della terribile vicenda della “Morte Nera” (altresì più nota come peste) che partendo da Messina nel 1347 si sprigionò successivamente per tutta l’Europa fino a raggiungere anche la Danimarca. Viene raccontata la sofferenza di migliaia di persone, l’ostracismo della chiesa nei confronti della malattia e la dura lotta quotidiana per la sopravvivenza. Insomma, qualcosa che non si legge spesso (soprattutto interfacciato alle sonorità Folk).
Musicalmente “Maledictus Eris” non cambia di una virgola rispetto ai due predecessori; mid-tempo oscuri e pesanti si fondono ai soliti canonici strumenti tradizionali folkloristici quali flauto (in preponderanza rispetto agli altri), mandolino, cornamusa ecc. La voce in growl cavernosa e potente si intreccia perfettamente con la pesantezza di chitarre e batteria, trovandosi quasi allineata con i testi e le tematiche affrontate. Prese singolarmente le canzoni sono anche accettabili (mi riferisco per esempio all’iniziale “Gud Giv Det Varer Ved!” o alla conclusiva “Og Landet Ligger Så Øde Hen”), ma nell’insieme cadono come birilli, troppa ripetitività sul lungo termine (e questo è un problema che i danesi si protano dietro sin dal debutto) e tendenza a riciclare passaggi già sentiti.
La proposta musicale è diversa dai soliti gruppi folk metal che spopolano in ogni parte del globo, non riesce tuttavia a fare quel piccolo salto che le permetterebbe di differenziarsi maggiormente e di diventare un’interessante alternativa. Per ora gli Svartsot rimangono solamente una buona band, con buone idee ma, di questo passo e con questo andamento, difficilmente potranno avere un futuro longevo (Napalm Records permettendo).
Questo “Maledictus Eris” si pone esattamente nel mezzo. Non convince, non esalta, non stupisce, non innova e non tenta nemmeno una piccola deviazione rispetto alla tranquilla e sicura autostrada che il combo danese sta percorrendo. Le tematiche affrontate nel nuovo platter raccontano della terribile vicenda della “Morte Nera” (altresì più nota come peste) che partendo da Messina nel 1347 si sprigionò successivamente per tutta l’Europa fino a raggiungere anche la Danimarca. Viene raccontata la sofferenza di migliaia di persone, l’ostracismo della chiesa nei confronti della malattia e la dura lotta quotidiana per la sopravvivenza. Insomma, qualcosa che non si legge spesso (soprattutto interfacciato alle sonorità Folk).
Musicalmente “Maledictus Eris” non cambia di una virgola rispetto ai due predecessori; mid-tempo oscuri e pesanti si fondono ai soliti canonici strumenti tradizionali folkloristici quali flauto (in preponderanza rispetto agli altri), mandolino, cornamusa ecc. La voce in growl cavernosa e potente si intreccia perfettamente con la pesantezza di chitarre e batteria, trovandosi quasi allineata con i testi e le tematiche affrontate. Prese singolarmente le canzoni sono anche accettabili (mi riferisco per esempio all’iniziale “Gud Giv Det Varer Ved!” o alla conclusiva “Og Landet Ligger Så Øde Hen”), ma nell’insieme cadono come birilli, troppa ripetitività sul lungo termine (e questo è un problema che i danesi si protano dietro sin dal debutto) e tendenza a riciclare passaggi già sentiti.
La proposta musicale è diversa dai soliti gruppi folk metal che spopolano in ogni parte del globo, non riesce tuttavia a fare quel piccolo salto che le permetterebbe di differenziarsi maggiormente e di diventare un’interessante alternativa. Per ora gli Svartsot rimangono solamente una buona band, con buone idee ma, di questo passo e con questo andamento, difficilmente potranno avere un futuro longevo (Napalm Records permettendo).