I Brainstorm sono una di quelle innumerevoli band che, in circolazione da molto tempo, vuoi per un motivo o per l’altro, non sono mai riusciti a compiere quel grande passo che li portasse al successo. Beninteso, i tedeschi, formatisi nel 1989 da un’idea di Milan Loncaric e Torsten Ihlenfeld, hanno prodotto nove album, compreso questo “On The Spur Of the Moment”, che certamente hanno saputo appagare i palati desiderosi di sapori prettamente power metal con spolveratine di canonico heavy metal ruffiano e deciso.
Anche questa volta il combo tedesco non si discosta molto dalle aspettative, sfornando un album che più classico non si può, che alterna come nelle buone tradizioni pezzi più riusciti ad altri meno convincenti, risultando così un disco dalla mediocre fattura (non mi sto riferendo al comparto sonoro, certamente di ottimo livello) che non brilla di luce propria e che arranca stanco nei nostri lettori. Insomma, alle soglie del 2012, un disco del genere è totalmente zoppicante, non si può pensare di continuare a riproporre la stessa frittata girata e rigirata, ormai le bruciature sono evidenti e le si annusano nell’aria (che sia la causa principale del mancato passo di cui parlavo prima?). Il sound è roccioso e pesante, la voce di Andy B. Franck è sì garanzia di ottima qualità, ma tende ad essere fin troppo ripetitiva e uguale a se stessa in ogni brano dell’album. Il songwriting, come già accennato, risulta essere la classica crepa nel vetro dalla quale si dirameranno tutte le altre che porteranno poi all’inevitabile rottura completa. Non bastano quindi buone canzoni come l’opening track “Below The Line” a risollevare il destino di un platter segnato in partenza, destinato ad essere ascoltato solo dai fan accaniti della band e dagli estimatori del genere. Rimandati.
Anche questa volta il combo tedesco non si discosta molto dalle aspettative, sfornando un album che più classico non si può, che alterna come nelle buone tradizioni pezzi più riusciti ad altri meno convincenti, risultando così un disco dalla mediocre fattura (non mi sto riferendo al comparto sonoro, certamente di ottimo livello) che non brilla di luce propria e che arranca stanco nei nostri lettori. Insomma, alle soglie del 2012, un disco del genere è totalmente zoppicante, non si può pensare di continuare a riproporre la stessa frittata girata e rigirata, ormai le bruciature sono evidenti e le si annusano nell’aria (che sia la causa principale del mancato passo di cui parlavo prima?). Il sound è roccioso e pesante, la voce di Andy B. Franck è sì garanzia di ottima qualità, ma tende ad essere fin troppo ripetitiva e uguale a se stessa in ogni brano dell’album. Il songwriting, come già accennato, risulta essere la classica crepa nel vetro dalla quale si dirameranno tutte le altre che porteranno poi all’inevitabile rottura completa. Non bastano quindi buone canzoni come l’opening track “Below The Line” a risollevare il destino di un platter segnato in partenza, destinato ad essere ascoltato solo dai fan accaniti della band e dagli estimatori del genere. Rimandati.