Gli HateSphere sono una delle tante band che a causa di dissidi interni, defezioni (e chi più ne ha, più ne metta) finiscono inevitabilmente in una spirale discendente verso il baratro del piattume e della ridondanza.
Il combo danese nato alla fine degli anni ’90 per mano del chitarrista Peter “Pepe” Hansen giunge al settimo album claudicando vistosamente, in bilico sulla celeberrima lama del rasoio. Dal 2008, anno per loro davvero rocambolesco, la band perde il batterista Gyldenøhr, il bassista Mikael Ehlert e il cantante Jacob Bredahl per problemi personali, e vede l’avvicendamento di altri due vocalist per altrettanti album (tre se consideriamo l’apparizione di Morten "Kruge" Madsen nel tour nordamericano): Jonathan "Joller" Albrechtsen prima e l’attuale Esben "Esse" Hansen. Diciamocelo in tutta onestà, questo turnover forzato di membri non giova proprio a nessuno, in primis al gruppo, che trovatosi improvvisamente con un singolo compositore fatica a trovare quella continuità e quella qualità musicale che ci venivano somministrate brutalmente ad inizio carriera, in secundis al pubblico, che si vede costretto ad ascoltare roba trita e ritrita.
Ora, non pensiate che io sia partito prevenuto nei confronti di questo “The Great Bludgeoning”, ma in tutta onestà, vi aspettavate un ritorno ai fasti di un tempo? La risposta ve la do io: sì, ve l’aspettate ma non l’avrete. La potenza sonora espressa da questo album è indiscutibile, il thrash death/metalcore (chiamatelo un po’ come volete) della band di Aaruhus c’è, la sostanza però è assente ingiustificata. Non basta infilare due o tre riff di buona fattura, azzeccare qualche passaggio qua e là per accontentare la bestia famelica chiamata pubblico. Se poi ci aggiungiamo anche il cantato che di personale ha ben poco e i punti di spicco dell’album, equiparabili al numero di volte in cui la Danimarca ha vinto un campionato mondiale o europeo di calcio, allora la risultante sarà davvero ciò che non ci si aspettava o si pensava di trovare.
Insomma, un album un po’ fiacco, impersonale, che fa veramente poco per distinguersi dalla massa, che passerà di certo inosservato alla moltitudine di fan metallari assetati di aggressività e violenza sonora e che farà breccia solo nei cuori degli aficionados della band.