DasAuge
You're Dead And It's All Your Fault

2011, I Make Records
Alternative Rock

I DasAuge ci regalano una corsa senza ritorno sulle montagne russe del suono
Recensione di Marco Belafatti - Pubblicata in data: 19/10/11

Più e più volte abbiamo lodato sulle nostre pagine, nel corso degli ultimi anni, l'impressionante spessore artistico della scena partenopea (soprattutto in ambito folk e neoclassico) ed oggi, con immenso piacere, andiamo a recensire l'album di debutto sulla lunga distanza di un formazione rock proveniente da questa splendida regione italiana. I paesaggi e il clima soleggiato della Campania - alla faccia degli stereotipi - non sembrano tuttavia aver intaccato l'umore umbratile dei DasAuge, che con il proprio monicker rendono omaggio a Paul Klee (massimo esponente del movimento astrattista nella pittura novecentesca), e con la propria musica strizzano l'occhio alle atmosfere fosche della scuola alternative americana, alle venature malinconiche del post rock ed alle esplosioni di rabbia tipiche dell'hardcore. Giunto alla corte della I Make Records di Francesco Tedesco dopo tre EP autoprodotti, il quintetto composto da Massimo Manzo (chitarra e tastiere), Vincenzo Spalice (voce), Pierluigi Mazzei (chitarra), Claudio Manzo (basso) e Salvatore Paone (batteria) confeziona un album d'esordio, “You're Dead And It's All Your Fault”, ricco di spunti interessantissimi e intriso di una forte personalità, cosa assai rara per i tempi che corrono...

Il disco ci accoglie come una visione oscura trasportata da un sound torbido, cupo e tremendamente sanguigno (la band stessa, terrorizzata dai luoghi comuni della musica odierna, si autodescrive come “un'inarrestabile emorragia sonora”). La desolante sensazione d'inquietudine che aleggia sul volto di ragazza raffigurato in copertina si fa largo nell'ascoltatore, prepotente lo intorpidisce, mentre l'incubo si trasforma in realtà: “Io me la ricordo la prima volta che sono morto, me la ricordo come se fosse ieri”.

La botta iniziale è affidata all'arpeggio in crescendo di “Carapace”, un pezzo da novanta che esplode in un riff nervoso sul quale le vocals melliflue di Vincenzo si fanno rabbiose per poi cesellare un ritornello la cui melodia è semplicemente letale. Rimaniamo storditi, ma non ci viene concesso un solo minuto di tregua; le chitarre pachidermiche di “Hiroshima” ci stanno già assalendo, spietate. E allora, senza opporre resistenza, godiamoci la nostra ultima corsa sulle montagne russe del suono. Una corsa verso la morte, con i Katatonia e gli A Perfect Circle che sbucano da un lontano cassetto della memoria (“Legs”, “Building An Empire”) e il post rock più disincantato a fare capolino tra le dense coltri di fumo che permeano l'atmosfera dei tredici brani di questa colonna sonora senza speranza (“On A Frozen Lake”, “The Day Brea Lynn Met Tory Lane”).

Non c'è più via di scampo. Sulle ultime, evanescenti note della ghost track finale, il vagone della giostra si schianta al suolo. Ed eccoci di fronte all'ultima rivelazione: siamo morti, e la colpa è solamente nostra. Eravamo stati avvisati, direte voi. Avete ragione, ma provate, se vi è possibile, a perdonarci, mentre riviviamo con voi il nostro momento fatale: non abbiamo saputo resistere alla tentazione di quest'adrenalinica, intensa, inappagabile esperienza...



01. Carapace
02. Hiroshima
03. Legs
04. The first Time I'm dead
05. Building An Empire
06. On A Frozen Lake
07. Life On Earth Is Overestimated
08. I'm Sorry But I'm Not Sorry
09. The Day Brea Lynn Met Tory Lane
10. Rorschach
11. Sink Or Swim
12. Never Been Here
13. Disasters And Wonders

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