Megadeth
Th1rt3en

2011, Roadrunner Records
Thrash

Un album che si lascia ascoltare. Ma si farà ricordare? I Megadeth stavolta non brillano.
Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 04/11/11

A soli due anni di distanza dal buonissimo “Endgame” e dopo le ristampe celebrative dei capolavori “ Rust In Peace” (a onor del vero un live) e “ Peace Sells... But Who's Buying? (con un numero di copie vendute non consono a una band di tale livello), i Megadeth si ripresentano sul mercato con il pezzo forte, un nuovo album intitolato senza troppa fantasia “Th1rt3en”.

Un titolo/numero che, a sentire MegaDave, ha un valore altamente simbolico: non solo questo è il tredicesimo album in carriera, ma il nostro è nato il 13 settembre e ha abbracciato la chitarra all’età di tredici anni. Insomma, le spiegazioni ce le ha date e le prendiamo anche per buone. Passiamo ora all’aspetto più importante, vale la pena spendere ancora del tempo per ascoltare un disco dei Megadeth? Contando che dopo tutti questi anni di carriera è normale che il meglio sia stato dato molto tempo fa, che l’ispirazione non può essere sempre la stessa, che a vent’anni (specialmente quando si è squattrinati) si fanno le cose con più passione, mentre a cinquanta e con lo status di una delle band di più famose del mondo si cerca di onorare anche altri aspetti (singoli apripista, facilità d’ascolto, ecc...), insomma, mettendo insieme tutto quanto la risposta è comunque positiva. Sono poche le formazioni con una storia così imponente alle spalle in grado di tenere botta con la freschezza dei Megadeth, “rinati” dopo anni difficili. Siamo un po’ più dubbiosi nel rispondere però a un altra domanda: vale la pena ancora spendere soldi per questi Megadeth?

Se siete fan sfegatati la risposta viene da sé, se però siete più oculati, va fatta una riflessione. “Th1rt3en” non è certamente un capolavoro, né uno dei prodotti migliori dei nostri. È stato tirato su in soli due mesi, in conflitto con la propria casa discografica, “il trattamento è stato terribile in questi anni” (ipse dixit) e con alcuni pezzi che sono stati ripescati da un vecchio cassetto “salvagente” aperto per l’occasione e addobbati da Dave per essere inseriti nella nuova tracklist. Dunque premesse non esaltanti che rispecchiano il contenuto del disco. Non ottimo, ma sufficiente, non entusiasmante, ma orecchiabile, un onesto disco dei Megadeth che vede la band californiana fare un passo indietro rispetto a “Endgame”. Il lavoro passato faceva leva su una buona compattezza di fondo, veloce, cattivo, tecnico, “Th1rt3en” vira sul melodico (niente paura!), su costruzioni più canoniche, con meno influenze speed, in favore di aperture rock. Il tutto con una tracklist poco coesa e altalenante, in cui non ci sono evidenti passaggi a vuoto, ma neppure lampi di genio.

Nonostante tutto il mestiere dei nostri è così collaudato che il risultato è comunque apprezzabile. Benchè non manchino sferzate veloci e dirette come “Sudden Death”, “Public Enemy No. 1”, “New World Order”, o “Wrecker” (dal riffing ormai abusato ma oggettivamente splendido), sembra che Mustaine abbia preferito soffermarsi su avvolgenti mid tempo, in cui purtroppo non sempre tutto funziona alla perfezione. Ripetiamo, niente di clamorosamente sbagliato, solo una certa mancanza di ispirazione, anche comprensibile, ma che alla fine dei conti pesa sulla valutazione. Un esempio su tutti è “We Are The People”: brano abbastanza insipido per una band come i Megadeth, salvato da un bellissimo assolo orientaleggiante (e subito la memoria viaggia verso capolavori lontani...), ma nulla più. Troppo poco, specialmente quando vieni supportato da una produzione di livello e puoi permetterti ben altri risultati, vista la super line-up a disposizione. “Th1rt3en” vede infatti il ritorno di Dave Ellefson al basso (ottimo contributo) e la conferma di un virtuoso delle sei corde come Chris Broderick, troppo spesso impegnato in giochi di bravura un po’ sterili senza badare troppo al risultato finale. E se contiamo che neppure MegaDave non è mai stato un solista famoso per il gusto melodico e per il tocco, i numerosi assoli incrociati tra i due appaiono più come materiale didattico per musicisti, con poco feeling per normali ascoltatori.

Un disco sufficiente dunque, un buona prova per essere il tredicesimo album in carriera, un po’ meno considerando il nome sulla copertina. Un full che si lascia ascoltare (non sappiamo se saprà però farsi ricordare) e che, senza troppi ragionamenti, non mancherà di allietarvi. A voi la scelta.



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