In una scena dove anche i fondatori del genere in argomento, i Rhapsody of Fire, si sono ricreduti (perché hanno forse esaurito le munizioni in cartucciera?) e hanno abbracciato la via del divorzio consenziente, ci vuole il coraggio dei Dragonland - che forse credono di aver trovato la gallina dalle uova d’oro - per proseguire la ricerca di terre incantate e reami leggendari, in uno sperpero doloso e travagliato degli scritti di Tolkien. Un perché a “Under The Grey Banner” non saprei darlo, e la sua scintilla concettuale è una dottrina che non ci viene concessa di sapere. Ma, in fondo, non si può dar addosso ai Dragonland che nel disco hanno infuso tutto il loro mestiere. La cornice stralunata, le melodie della domenica, le narrazioni filmografiche, la teatralità dei brani e gli intermezzi inutili per collegare i capitoli della trama ci sono tutti. Il cerchio si chiude a dovere, come un serpente che si morde la coda. Però, alla fine dei conti, la voluttà di questo sforzo discografico rimane un mistero. Il genere letterario fantasy è zeppo di autori al limite della decenza, ma il suo risvolto musicale non è da meno visto che dal boom rhapsodiano il metal si è infarcito della stessa pochezza. Messi da parte i cantori triestini, le band da tenere d’occhio in questo filone gommoso si contano sulla punta delle dita. Cito per onor di cronaca i francesi Fairyland, senza dubbio meritevoli, ma scavando ancora nella memoria si finisce per contare le pecore che saltano sullo steccato.
I Dragonland sono attivi dal 2001 ed evidentemente nessuno hai mai detto loro di stare sfrecciando in una pista bagnata con i pneumatici sbagliati. La storia dell’Hollywood Metal - oramai dovrebbe essere chiaro a tutti - non è infinita come la novella di Michael Ende e se anche la band archetipo ha iniziato a perdere i pezzi un motivo, nemmeno poi tanto segreto, ci sarà.