Nightwish
Imaginaerum

2011, Nuclear Blast
Symphonic Metal

Ennesimo capolavoro di musica ed immagini che immortala i Nightwish tra le stelle del rock
Recensione di Marco Belafatti - Pubblicata in data: 02/12/11

ONCE UPON A NIGHT WE'LL WAKE TO THE CARNIVAL OF LIFE...


Ricordate il polverone mediatico sollevato nel 2007 dal controverso “Dark Passion Play”, reo di aver diviso una sempre più folta schiera di fan tra sostenitori e detrattori del nuovo corso musicale della band finlandese? Ricordate l'entrata in scena della frizzante Anette Olzon e il conseguente alleggerimento delle linee vocali dei nostri amati/odiati symphonic metallers? Ebbene, dopo aver dato alle stampe quello che allora venne definito come “l'album della nuova era”, destinato a tagliare i ponti con il passato e con l'eredità (più emotiva che materiale) della storica singer Tarja Turunen, dopo essersi imbarcati in un lungo ed estenuante tour ed aver fatto ritorno alle proprie case per un breve periodo, i Nightwish hanno avuto modo di concentrarsi sui propri sbagli (se mai ve ne fossero stati) per progettare un ritorno in grande stile ed evitare di raccogliere nuove critiche lungo la strada. Come di consueto, il mastermind Tuomas Holopainen si è chiuso in se stesso, isolandosi dal trambusto e dalle voci incessanti del mondo esterno, per lasciare che la sua immaginazione partorisse un nuovo, entusiasmante progetto. Poiché gli ultimi due full-length della band di Kitee hanno raggiunto livelli inaspettati di magniloquenza, sull'onda del sodalizio tra l'introverso tastierista e il direttore d'orchestra Pip Williams, la domanda comincia a farsi piuttosto annosa: come dare un seguito a un kolossal del calibro di “Dark Passion Play”? Quale ulteriore passo compiere per scrivere la storia di un genere che da più di dieci anni punta i riflettori sui Nightwish?

La mente dell'artista lavora incessantemente, i motori della sua immaginazione si muovono all'impazzata, senza mai fermarsi... Finché, in una notte al lume di candela, un'idea comincia a lampeggiare. Dodici idee, per l'esattezza. Dodici idee che diventano immagini, quasi come se, ancor prima di aver trascritto le proprie emozioni sul pentagramma, il signor Holopainen si fosse calato per un attimo nei panni del regista. Una chiacchierata con l'amico Stobe Harju (l'uomo dietro ai malinconici scenari e alle delicate visioni del videoclip di “The Islander”) dona maggior concretezza al progetto: per esaltare la componente cinematografica della propria musica, i Nightwish decidono di realizzare il loro primo lungometraggio. L'ambizione e la creatività di un affiatatissimo team di artisti plasmano infine il mondo di “Imaginaerum”, un luogo fantastico racchiuso in un angolo remoto della nostra fantasia.

Se per godere del lungometraggio dovremo ahimè attendere almeno un'altra stagione, il biglietto di sola andata per “Imaginaerum” ci viene immancabilmente offerto dal settimo album dei Nightwish, ideale compendio musicale di questa avventura multidimensionale, nonché piatto forte dell'intero lavoro. Per unirvi a noi nella scoperta del disco non vi resta che chiudere gli occhi e allacciare le cinture...

ENTER IMAGINAERUM


Il dolce suono di un carillon conduce Tom, un anziano compositore, verso il sonno che lo porta a rivivere i ricordi di una lontana infanzia. A causa di una grave malattia, la memoria a breve termine dell'artista è irrimediabilmente offuscata e le immagini del presente si confondono nella sua mente malata. Ciò che resta, non è altro che il sogno di un bambino di soli dieci anni, che dalla finestra osserva un pupazzo di neve sorridere ed innalzarsi attraverso la bufera. Un avvolgente crescendo di pianoforte, fiati ed archi è il letto sul quale la voce di Marco Hietala ci invita ad accomodarci, cullandoci con la sua candida ninna nanna in lingua natia.

La magia dell'inverno (“Taikatalvi”) non può essere completa senza una storia da raccontare: sulle note della fantasia l'emporio dei sogni si mescola con la realtà, allorché gli eroi delle favole preferite di Tom lo riportano a quell'attimo fatale in cui scoprì un intero mondo all'interno di un fiocco di neve. Le chitarre di Emppu irrompono violente e, aiutate da un tastiera fantasmagorica e dall'incedere nervoso del basso e della batteria costruiscono l'ossatura di “Storytime”. Il singolo di lancio di “Imaginaerum” si libra arioso sulle note di un ritornello sognante, dove Anette ci canta dell'Isola Che Non C'è e del giocoso Peter Pan, che ha lasciato la sua culla vuota in una fredda notte d'inverno, per unirsi al nostro volo. Rispetto ai singoli del passato, “Storytime” è tradita da una componente leggermente meno radio-friendly, ma alcuni déjà-vu (lascio a voi l'onore di scoprire le autocitazioni più o meno volontarie disseminate lungo il brano) aiutano l'ascoltatore a tracciare un fil rouge tra il sound del nuovo album e quello del suo predecessore.

Le voci bianche che accompagnano gioiose il finale della canzone tornano a farci visita in “Ghost River”, un brano che apre energicamente su un bellissimo duetto in chiave hard rock tra chitarra e tastiera e rivela sin da subito la sua natura di incubo notturno. L'atmosfera spettrale pervade la nostra immaginazione, esaltata da un ritornello che ha tutta l'aria di essere una spaventosa filastrocca. Il teatrale crescendo del brano, trainato dalla voce sempre più espressiva di Marco, non lascia alcuna via di fuga: come per incanto, veniamo travolti dalle onde del fiume, tra gli inquietanti sussurri dei bambini annegati tra le sue acque.

Lo scenario cambia improvvisamente e, nonostante lo spavento, scopriamo di essere ancora vivi nel nostro sogno: la nebbia e l'odore dei sigari ci accolgono in un locale di periferia, dove una folla di spettatori inebriati dai fumi dell'alcool si appresta ad assistere all'esibizione di una diva degli anni '30 avvolta da un lungo, luccicante abito rosso ed accompagnata da un ensemble jazz di distinti gentlemen d'oltreoceano. Un romantico pianoforte e una batteria appena accennata sembrano unirsi in una lenta danza, scandita dai sussulti del contrabbasso e dalle incursioni maliziose degli ottoni. Anette appare completamente a proprio agio e ci regala una delle sue migliori performance di sempre, sensuale e drammatica al tempo stesso, mentre una chitarra elettrica appena accarezzata porta il brano verso l'inevitabile epilogo affidato ai rintocchi di un orologio a pendolo. Da notare, nel caso di “Slow, Love, Slow” come in tanti altri nel corso dell'opera, come i Nightwish riescano ad amalgamare nuove influenze all'interno del proprio sound con una naturalezza disarmante, qualità che, unita alla perfezione delle loro melodie, li contraddistingue e li eleva al di sopra di qualsiasi altra melodic metal band in circolazione.

Laddove “Dark Passion Play” ci aveva regalato una piccola perla folk dal meraviglioso sapore irlandese quale “Last Of The Wilds”, “Imaginaerum” non vuole essere da meno. Elegante incontro tra una struttura melodica di stampo melodic rock e il calore nostalgico delle cornamuse di Troy Donockley (fido collaboratore di Tuomas dai tempi di “Dark Passion Play”), “I Want My Tears Back” rappresenta una piccola parentesi di lucidità nel sogno di Tom, che ricordando le meraviglie dei tempi passati chiede di riavere indietro le proprie lacrime. Il brano è un susseguirsi di immagini dalla poeticità impressionante: la strofa un effluvio di dolcezza che scivola sulle note della tastiera e sulla tenera voce di Anette, il ritornello un trionfo di emozioni che non vorremmo mai abbandonare: “Where is the wonder, where's the awe? / Where are the sleepless nights I used to live for / Before the years take me / I wish to see the lost in me”.

Nuvole e tuoni tornano ad abbattersi sul cielo stellato, mentre a passo lento ci avviciniamo verso un solitario tendone. Al suo interno ci attendono creature spaventose, maschere inquietanti pronte a trascinarci con loro nella più fitta oscurità. Oltre ad offrirci l'ennesima, superlativa interpretazione del concetto di symphonic metal da parte del Maestro Holopainen, “Scaretale” è un ottimo palcoscenico per le doti di intrattenitrice di Anette, che in questi sette minuti si trasforma in una regina cattiva e ci inquieta con la sua performance allucinata, mentre il compagno Marco veste i panni di un dispettoso Mangiafuoco, invitandoci ad assistere allo spettacolo del suo circo. La pura follia del brano rappresenta uno dei momenti più riusciti dell'intero album; difficile non rimanere a bocca aperta davanti a cotanta maestria. Le influenze che potremmo citare, in questo caso, ci riportano indubbiamente ai film d'animazione di Tim Burton musicati dal fido Danny Elfman, con i loro personaggi grotteschi e le tipiche atmosfere da favola dark.

Dopo aver trattenuto così a lungo il respiro, ci riposiamo contemplando la danza macabra e gli scenari arabeggianti di “Arabesque”, un intermezzo affidato alla sole forze della Looking Glass Orchestra e del coro delle Metro Voices. Un episodio, questo, che spezza la tensione dei capitoli precedenti ma non trova una vera e propria collocazione all'interno dell'album, con una leggera punta di rammarico da parte di chi scrive, che non ha saputo trovare altri cali di tensione nel corso di questi 75 minuti di grande intensità emotiva. Su consiglio di Tuomas, attenderemo l'uscita del film per comprendere meglio il senso del brano.

Ora, senza scoraggiarci, proseguiamo il nostro viaggio e ci abbandoniamo all'intimità crepuscolare di “Turn Loose The Mermaids”, una ballad acustica ricca di pathos in cui le sonorità celtiche del flauto, del violino e della chitarra acustica sposano un arrangiamento spaghetti western che suona come un sentito tributo ai capolavori di Sergio Leone musicati da Ennio Morricone. La scena che prende vita sulla dolcissima melodia vocale di Anette è a dir poco commovente. Una donna accompagna il marito nei suoi ultimi istanti di vita, prima di affidare il suo corpo alle sirene che lo porteranno lontano: “Good journey, love, time to go / I checked your teeth and warmed your toes / In the horizon I see them coming for you”.

Elegiache influenze gothic fanno capolino nell'incipit di “Rest Calm”, con una fragile tastiera che tratteggia attimi di sconforto tra i muri di chitarra, prima che la voce sofferta di Marco entri in scena a reclamare il suo ruolo d'assoluta protagonista, insieme ad una sezione d'archi che trasuda pura epicità. Il tema affrontato è quello della morte. Il protagonista domanda ad una persona cara di non abbandonarlo nella sua ora solenne: “Stay by my side until it goes dark forever / When silent the silence comes closer”. Il ritornello, inizialmente acustico e retto dalla sola voce di Anette, viene ripetuto fino allo spasimo e aumenta progressivamente d'intensità fino a ricreare un'atmosfera sempre più tragica e solenne; l'orchestra, che dapprima si mantiene timidamente sullo sfondo, esplode in un finale dalla drammaticità devastante sul quale, per effetto dell'empatia, versiamo le nostre lacrime, tenendo per mano il protagonista durante il suo ultimo viaggio.

“The Crow, The Owl And The Dove” è l'episodio più “soft” del disco, ma rimane pur sempre un highlight. Scritta da Marco Hietala, questa dolce ballad dal vago sapore folk è un visionario canto dolceamaro in cui l'interpretazione dei due vocalist infonde una sensazione di calma e sicurezza nell'ascoltatore. Le immagini di un corvo, di un gufo e di una colomba si alternano su un sottofondo onirico ed atmosferico, spianando la strada ad un finale folkeggiante che ospita la voce e il tin whistle di Troy Donockley.

Il viaggio prosegue e l'insegna del parco divertimenti abbandonato che ci troviamo dinnanzi non mente: le porte di “Imaginaerum” sono pronte ad aprirsi per noi, le sue gigantesche montagne russe ci regaleranno l'ultima corsa della giornata. Pronti, partenza... via! Quattro minuti e mezzo di pura adrenalina: sulle note di “Last Ride Of The Day” voliamo alti nel cielo, sospinti dalla melodia indimenticabile del ritornello (contraltare di una strofa più oscura e inquietante) e dall'anima symphonic (power?) metal di questo brano che mieterà parecchie vittime durante i prossimi concerti del gruppo.

L'ultima, agognata tappa coincide con lo zenit introspettivo ed emozionale dell'intero disco: “Song Of Myself”, una lunga suite di oltre tredici minuti divisa in quattro sezioni. La prima parte lascia fluire dalla voce di Anette una delle melodie più toccanti mai composte da Tuomas Holopainen. Il mood drammatico della composizione viene esaltato a dovere dalla tragicità dei cori nella miglior tradizione sinfonica inaugurata da “Beauty Of The Beast”, “Ghost Love Score” e “The Poet And The Pendulum”, nonché da liriche di fronte alla cui genialità è doveroso inchinarsi (“All that great heart lying still / In silent suffering / Smiling like a clown until the show has come to an end / What is left for encore / Is the same old dead boy's song / Sung in silence”). Le percussioni e le chitarre rallentate del secondo atto sembrano annunciare i nostri ultimi istanti di vita, ma è il coro ad afferrarci con violenza durante la caduta e a riportarci in vita, mentre il pianoforte e il violoncello introducono l'ultimo movimento della suite... È tempo di abbandonarsi alla forza creativa della poesia, tempo di filosofeggiare sulla vita e sul suo significato più profondo... Tempo di tributare uno dei miti letterari del nostro tastierista, il poeta americano Walt Whitman (1819-1892), attraverso un lungo poema che celebra la bellezza nella stravaganza, nel dolore e nella frustrazione, l'amore reciproco, l'età dell'innocenza e la forza dell'immaginazione. Le voci dei personaggi della nostra storia si alternano e lasciano spazio al monologo di un artista tormentato, prima che i titoli di coda di “Imaginaerum” ci facciano rivivere per l'ultima volta la magia dell'album, sulle note di un excursus che riprende alcuni dei temi salienti dei brani fino a sfociare in un finale da dove lacrime e brividi la fanno da padrone.

THERE'S NO FEAR IN A DREAM

I Nightwish del 2011 consegnano ai posteri un capolavoro, l'ennesimo traguardo di una carriera che, continuando di questo passo, li porterà dritti alle stelle, dove le leggende del rock guardano il mondo dall'alto della loro luminosità. “Imaginaerum” non è un semplice disco symphonic metal, non è l'imitazione di colonna sonora hollywoodiana, ma un magico luogo dove entrambi i mondi si fondono e danno vita a qualcosa di nuovo: la nuova era di Tuomas e compagni comincia esattamente qui. Nessuna sbrodolatura, nessun passaggio o melodia fine a se stessa, nessuna banalità (chiudiamo un occhio sulla sola “Arabesque”). Melodie, arrangiamenti, strutture dei brani, voci... nel nuovo disco dei Nightwish non c'è un solo punto debole. Mi permetterei di paragonare l'intero progetto solamente a tre grandi capolavori del grande schermo quali “Finding Neverland” (Marc Forster), “Big Fish” (Tim Burton) e “The Imaginarium Of Doctor Parnassus” (Terry Gilliam), le cui trame allucinanti e le atmosfere a cavallo tra sogno e realtà presentano più di una somiglianza con la storia che vi abbiamo appena raccontato.

Se siete giunti insieme a noi alla fine del viaggio, probabilmente ora vi sentirete spiazzati, sperduti ed estasiati di fronte alle meraviglie incontrate lungo il percorso... Dopo esserci svegliati dal sogno, torniamo alla nostra realtà quotidiana arricchiti da una nuova, indimenticabile consapevolezza, dagli insegnamenti che i personaggi della nostra storia hanno voluto regalarci. Ne faremo tesoro, nella speranza di non aver sminuito la magia del momento con le nostre parole.

“Imaginaerum” rimane lì, in quell'angolo remoto della nostra fantasia, pronto ad aprire le proprie porte a chi ancora non ha dimenticato come sognare.

Was it a vision, or a waking dream?
Fled is that music: - do I wake or sleep?

(John Keats)



01. Taikatalvi
02. Storytime
03. Ghost River
04. Slow, Love, Slow
05. I Want My Tears Back
06. Scaretale
07. Arabesque
08. Turn Loose The Mermaids
09. Rest Calm
10. The Crow, The Owl And The Dove
11. Last Ride Of The Day
12. Song Of Myself
13. Imaginaerum

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