The Provenance
Red Flags

2006, Peaceville Records
Alternative Rock

Recensione di Marco Belafatti - Pubblicata in data: 11/01/12

A pochi anni dalla formazione, gli svedesi The Provenance incidono due grandi dischi: “25th Hour; Bleeding” (2001) e “Still At Arms Length” (2002), pubblicati dalla nostrana Scarlet Records. Due dischi che emanano atmosfere malsane, tra disperazione e follia, violento death metal, influenze gotiche ed un tocco anni '70 ottenuto grazie a particolari inserti di hammond e flauto traverso. Lavori sconosciuti ai più, soprattutto in Italia, ma apprezzati da tutti coloro che hanno avuto la fortuna di ascoltarli e di coglierne l'oscuro e morboso fascino. I The Provenance verranno ricordati da questi pochi fortunati come innovativi e geniali poeti dello scoramento, della disillusione, del male che anima la nostra società, dei fanatismi e dei ritmi frenetici del nuovo millennio; per questo la loro musica resta tutt'oggi il manifesto di un cinismo esistenziale che affoga in un lago d'inchiostro opaco, talmente opaco da non lasciare intravedere la minima speranza. Una musica che passa direttamente per lo stomaco, anziché per le orecchie.

Dopo il transitorio ma pur sempre riuscito “How Would You Like To Be Spat At” (2005) ed il deal del 2006 con la Peaceville Records, i The Provenance cambiano completamente pelle e grazie a “Red Flags” si avvicinano ai migliori lavori di The Gathering, Novembre e Katatonia, con un ipnotico retrogusto “jazz” e progressivo in grado di ammantare ogni singola nota. Influenze a parte, la loro proposta rimane talmente personale da non necessitare alcun paragone. Per l'occasione il songwriting viene leggermente semplificato, a favore di una forma-canzone compatta e dall'impatto diretto, vicina all'alternative rock di quegli anni; di conseguenza le chitarre appaiono quasi “impiastricciate” e meno taglienti rispetto ai primi lavori, ma non tradiscono la loro inquieta anima psichedelica. Il growl, un tempo colonna portante della proposta del quintetto, scompare definitivamente, lasciando all'ammaliante tastierista Emma Hellström il compito di gestire la vasta gamma di voci. A darle man forte interviene il chitarrista Tobias Martinsson, creando un riverbero melodico accattivante, quasi shoegaze.

Tra le dieci tracce in scaletta, impossibile dimenticare la nervosa ed intensa “At The Barricades”, la martellante “Thanks To You” (sottolineata dal drumming preciso di Joel Lindell), la straniante, psichedelica e quasi sinfonica "Second And Last But Not Always", l'apocalittica “Raveling Masses”, la liquida e pacata ballad “Deadened” e la disturbata “Settle Soon”, tutte canzoni impreziosite dalle superbe capacità interpretative della Hellström. Tirando le somme, la scelta dei Nostri si rivela coraggiosa, vincente: abbandonando completamente il retaggio estremo e i rimandi ai Jethro Tull (niente più flauto traverso ed organo hammond), relegando le tastiere ad un semplice ruolo di sottofondo e rendendo il quadro sonoro più scarno ma al contempo più intimo e cerebrale, la band dà luce all'album più personale e più ostico della sua breve e sfortunata carriera. Forse l'unico evidente punto debole di “Red Flags” sta proprio nel fatto di avere puntato anche troppo sui ritornelli, che, non essendo (fortunatamente) di facile presa come quelli di alcuni rinomati colleghi, rischiano di scadere nel prolisso o, per lo meno, di annoiare gli ascoltatori meno pazienti e quelli legati alle atmosfere del passato. Ad onor del vero, ad un primo approccio nessuna traccia in particolare sembrerebbe colpire nel segno; tuttavia, non essendo un disco di facile assimilazione, “Red Flags” richiede molteplici ed accurati ascolti e liquidarlo in quattro e quattr'otto non gli renderebbe giustizia.

Nel dicembre del 2008 i The Provenance decidono di interrompere le loro attività e, a distanza di qualche anno, possiamo indubbiamente dire che la mancanza di una band di questa portata comincia a farsi sentire. Rimane, tuttavia, una piccola consolazione: la loro ispirazione effervescente, distante anni luce da qualsiasi trovata commerciale, da qualsiasi ondata stilistica e trend imperante, colma delle solite atmosfere oscure e claustrofobiche, i loro testi nichilisti, pieni di immagini e metafore inerenti alla società occidentale, le emozioni intime filtrate attraverso un sound moderno e personale, ogni volta che torneremo a contemplare questo nero gioiello, torneranno in qualche modo a farci compagnia.



01. At The Barricades
02. Crash Course
03. Thanks To You
04. Second And Last But Not Always
05. Ravelling Masses
06. Leave-Takings
07. The Cost
08. Deadened
09. One Warning
10. Settle Soon

Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool