Der Noir
A Dead Summer

2012, RBL Music Italia
Darkwave

Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 31/01/12

Ce lo ha spiegato più che bene Simon Reynolds, con tutte le 471 pagine del suo “Retromania”, che la musica pop (nel senso più ampio del termine) di oggi è una noia mortale, perché priva di inventiva e costantemente fissata su ciò che è stato fatto in passato.

Ascoltando il giovane trio romano Der Noir, le parole di Reyonlds tornano potentemente in mente, visto che i Nostri, con questo esordio discografico, ci propongono una darkwave uscita direttamente dagli ‘80s, purissima in tutto: immagine, suoni di synth, suoni di chitarra glacialmente taglienti (anche più dei synth) e voce ieraticamente lamentosa e profonda. Fare una disanima articolata delle varie composizioni su “A Dead Summer” è pressoché inutile: il quadro sonoro è esattamente come te lo aspetteresti dall’inizio alla fine, e non basta un senso più “new” che “dark” su “Done” o le parentesi più melodiose ed accessibilmente romantiche di “Oblivion” ed “Another Day” (non a caso, singolo estratto dall’opera) per poter stupire. Il disco pare uscito dal 1986 (presumibilmente dalla ricorrenza in tracklist, anno di nascita dei Nostri) arricchito con una brillante produzione del 2012, e non fa nulla per distaccarsi da una scena descritta fin nei minimi particolari dai mostri sacri che l’hanno creata.

Sarebbe tutto davvero perfetto, negli effetti, se in Italia non si fossero viste formazioni dotate di ben più inventiva, in grado di innestare quel tipico sound ‘80s con altre correnti musicali, creando comunque qualcosa di fresco: dallo spleen shoegaze dei JoyCut, all’alternative rock maziale degli Ivashkevich, senza star lì a scomodare un duo inglese che, trovando la quadratura del cerchio con la pop dance, ha goduto di ampissima visibilità internazionale (si parla degli Hurts, ovviamente).

Il dubbio che si insinua, ascoltando l’opera dei Der Noir e paragonandola ai tre esempi casuali sopra riportati, è che ad oggi, anno Domini 2012, non sia più sufficiente ripercorrere pedissequamente un sentiero musicale tracciato talmente bene da risultare oltremodo prevedibile: la chiave per accendere l’entusiasmo in chi ascolta, semmai, risiede altrove. E senza fare i catastrofisti come Reynolds, non è vero che tutto oggi è dietrologia senz’anima ed inventiva, anzi.

Tornando all’opera oggetto di articolo, questo è un disco filologicamente perfetto, prodotto in modo perfetto, con l’artwork perfetto ed una visualità della band perfetta; emotivamente, però, è sterile, perché siamo lontani anni luce (sarebbe meglio dire “anni buio”, visto il contesto) da chi usa il passato per creare un presente distorto e, per questo, in qualche modo interessante.

A voi il peso in grado di far pendere i piatti della bilancia nella giusta direzione.



01. Private Ceremony
02. Done
03. Lontano Dalle Rive
04. Stranger’s Eye
05. Oblivion
06. Another Day
07. Cosa Vedo
08. Dead Summer
09. Cloud Of ‘86

Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool