Dare un’accezione univoca all’horror rock è impresa ardua e quella che mi accingo a coniare potrà apparire ai più alquanto personale e approssimativa; tante sono le sfaccettature di un genere che non ha mai incontrato i favori delle masse ma che, periodicamente, si è rifatto sotto una nuova vste mischiandosi con le tendenze del momento. Metal, hard rock e blues psichedelico sono gli ingredienti che negli anni hanno contribuito a definire i confini di questo microcosmo musicale, ingredienti che a ben vedere rispecchiano alla perfezione quanto riportato in auge negli ultimi anni; dal fulminante debutto dei The Devil’s Blood agli svedesi Ghost, dall’horror punk dei The Others ai nuovi arrivati Graveyard l’interesse da parte di pubblico e critica verso sonorità ancestrali e orrorofiche sembra davvero ritrovato. Senza dimenticare i padri fondatori come Arthur Brown e Blue Oyster Cult, altrettanto determinante è l’influenza del metal di bands come Angelwitch, Mercyful Fate e gli onnipresenti Black Sabbath.
Queste commistioni numerose ed eterogenee sembrano confluire naturalmente nella proposta dei romani Hands of Orlac, promettente band formatasi nel 2009 che grazie all’etichetta danese Horror Records debutta sulla lunga distanza. Il monciker è già un programma, mutuato da un episodio di punta del cinema espressionista tedesco, "Le Mani Di Orlac" appunto del 1924. Le pulsanti note di basso dell’omonimo brano d’apertura mette in evidenza la componente più heavy della band, quella che arriva da bands come Mercyful Fate e Death SS e che sarà predominante nel disco. Con la seconda “Lucinda” riaffiorano in maniera convincente le atmosfere da villaggio addormentato tanto care ai primi Black Sabbath, sia nel riff che nel cantato ispirato non poco all’Ozzy Osbourne degli esordi. Alcuni clichè dovranno inevitabilmente essere smussati dalla band, vedi l’utilizzo di bizzarri pseudonimi o l’intro parlato/strumentale di “Into The Prison Of Sleep”. I brani più lunghi sono caratterizzati da ripartenze e cambi di ritmo, anche se un maggiore risalto alle parti soliste avrebbe reso meno monotoni certi passaggi. Ci sono anche spunti di originalità, vedi il flauto di “Castle Of Blood” o l’utilizzo sporadico di tastiere che accentuano il carattere sinistro dell’opera.
Tanta carne al fuoco dunque per questo combo capitolino che dimostra di avere nel suo arco molte frecce “interessanti”. Intanto, torni ad ascoltarmi i The Devil’s Blood…
Queste commistioni numerose ed eterogenee sembrano confluire naturalmente nella proposta dei romani Hands of Orlac, promettente band formatasi nel 2009 che grazie all’etichetta danese Horror Records debutta sulla lunga distanza. Il monciker è già un programma, mutuato da un episodio di punta del cinema espressionista tedesco, "Le Mani Di Orlac" appunto del 1924. Le pulsanti note di basso dell’omonimo brano d’apertura mette in evidenza la componente più heavy della band, quella che arriva da bands come Mercyful Fate e Death SS e che sarà predominante nel disco. Con la seconda “Lucinda” riaffiorano in maniera convincente le atmosfere da villaggio addormentato tanto care ai primi Black Sabbath, sia nel riff che nel cantato ispirato non poco all’Ozzy Osbourne degli esordi. Alcuni clichè dovranno inevitabilmente essere smussati dalla band, vedi l’utilizzo di bizzarri pseudonimi o l’intro parlato/strumentale di “Into The Prison Of Sleep”. I brani più lunghi sono caratterizzati da ripartenze e cambi di ritmo, anche se un maggiore risalto alle parti soliste avrebbe reso meno monotoni certi passaggi. Ci sono anche spunti di originalità, vedi il flauto di “Castle Of Blood” o l’utilizzo sporadico di tastiere che accentuano il carattere sinistro dell’opera.
Tanta carne al fuoco dunque per questo combo capitolino che dimostra di avere nel suo arco molte frecce “interessanti”. Intanto, torni ad ascoltarmi i The Devil’s Blood…