Soen
Cognitive

2012, Spinefarm Records
Prog Rock

Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 14/02/12

Dai, ditelo che avete scherzato e tirate fuori il vero disco... Sembra incredibile, ma dopo le delusioni eclatanti del 2011 (inutile ricordare ancora i nomi), anche uno dei progetti più chiacchierati che avrebbe visto la luce nella prima parte del 2012, fallisce miseramente. Stiamo parlando dei Soen, band nata dal rimpianto Martin Lopez, indimenticato/indimenticabile ex batterista degli Opeth (che lasciò Akerfeldt e soci nel 2006), in collaborazione con un mostro sacro del basso come Steve DiGiorgio, in aggiunta a Joel Ekelöf e Kim Platbarzdis, rispettivamente cantante e chitarrista.

Vista la caratura dei nomi in ballo e, cosa non da poco, la gioia di rivedere un musicista fantastico all’opera, dopo che per anni sembrava aver fatto perdere le sue tracce, le aspettative per questo “Cognitive” erano alte, almeno per una fascia ristretta di pubblico. Ebbene, l’ascolto dell’opera prima dei Soen è imbarazzante. Dimenticatevi il passato Opeth di Lopez, i Soen sono una brutta copia dei Tool dell’era “Lateralus”. In anni e anni di ascolto difficilmente ci siamo trovati di fronte a un’operazione di plagio così efficacemente e minuziosamente portata a termine... Un po’ come quei venditori ambulanti di Rolex che sfoggiano la propria merce senza ritegno, anche i Soen, per assurdo, potrebbero essere incriminati per spaccio di materiale contraffatto.

Zero idee, un continuo riciclo di temi e atmosfere Tool, tutto e sottolineiamo tutto, è stato preso in prestito dalla band di Maynard James Keenan. Copiare da fuoriclasse del genere dovrebbe comunque dare buoni frutti, eppure i Soen perdono anche in questo, le tracce sono un susseguirsi di litanie stantie che fanno il verso ai legittimi proprietari senza avvicinarsi minimamente alla complessità e alla tensione emotiva dei Tool. Anzi, in certi casi (vedi ad esempio “Last Light”) il tutto è così dannatamente forzato da risultare addirittura sgradevole. Davvero, non riusciamo a capire come un musicista come Lopez abbia potuto inciampare in questo modo, raccogliendo attorno a sé una line-up dalle indubbie doti, sprecate però nel modo peggiore. Persino le prestazioni delle due star non sembrano minimamente di valore assoluto: Lopez deve fare il Lopez, che sarebbe già tanta roba, sentirlo fare il verso a Danny Carey piange il cuore, come del resto DiGiorgio, così “prezzemolino” che potremmo ritorvarlo ovunque ormai.

Per non parlare della voce del cantante Ekelöf, un misto tra Keenan (tanto) e Akerfeldt (sfumature) persino nell’aspetto molto simile a Maynard (la pelata d’ordinanza) e della copertina, un richiamo fin troppo semplice a “Lateralus”. Un disco insufficiente, che potrebbe colmare il vuoto fino al prossimo album dei Tool, ma che sa tanto di una presa per i fondelli verso il pubblico che ha atteso tanti anni un ritorno sulla scena di Lopez. Caro Martin, non abbiamo l’anello al naso.



01. Fraktal

02. Fraccions

03. Delenda

04. Last Light

05. Oscillation

06. Canvas

07. Ideate

08. Purpose

09. Slithering

10. Savia

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