Se non si sentiva il bisogno di un ritorno dei fratelli Cavalera sotto mentite spoglie, se ne sentiva ancora meno del come-back dei connazionali Eminence, con il terzo album The God Of All Mistakes, a ben cinque anni di distanza da Humanology. Stessa città dei più famosi carioca, Belo Horizonte, e stesso destino musicale, all'insegna del riciclaggio di riff e idee tipiche del thrash metal che da anni si conosce praticamente a memoria, e che a ogni occasione ci viene sbattuto in faccia.

Se per i fratelli Cavalera si può soprassedere con la loro operazione amarcord (fatta pagare profumatamente, vorrei aggiungere), con gli Eminence non si può chiudere un occhio, dal momento che per comporre questo album non si sono spostati per nulla dal loro "classico" stile, fortissimamente debitore del thrash di cui sopra, con i soliti pattern di batteria sincopati, riffing circolare, una leggera venatura hard core, voce graffiante ed energia a profusione... Tutto fatto e presentato nel migliore dei modi, con il solito encomiabile lavoro di Tue Madsen dietro alla consolle a pompare per bene il sound, ma tutto fin troppo scontato, gia ascoltato, oltremodo abusato oserei dire.

La differenza dai maestri ispiratori sta solo nella produzione meno pastosa e più precisa e in un feeling un po' più moderno, con alcuni passaggi alla Machine Head tanto per capirci, in cui fanno l'esordio anche parti in clean. Per il resto c'è poco da aggiungere, se non che i nostri sfoggiano una prova più che dignitosa coi propri strumenti, senza lasciare il segno, mettendo continuamente in primo piano la propria "brasilianità" nel fare thrash, dimenticandosi che di dischi riciclati di questo genere ce ne sono gia stati in questo 2008.

La classe non è acqua e si sente anche nei momenti meno felici della carriera di un musicista, permettendo di salvare il risultato; un piccolo grande elemento che agli Eminence manca.