Metal Church
This Present Wasteland

2008, Spv
Heavy Metal

Recensione di Marco Ferrari - Pubblicata in data: 22/09/08

Quando c’è da recensire il disco di una delle band seminali della storia del metal provo, generalmente, un senso di vertigine, forse conscio del fatto che sicuramente mi appresterò ad essere più critico del solito. Se il gruppo in questione sono poi i Metal Church, che ci presentano il successore dell’ottimo “A Light In The Dark” (2006), il mio atteggiamento viene seriamente minato da una vena di entusiasmo e di forti aspettative che risvegliano una sana fame di heavy metal ma che, ahimè, verranno solo parzialmente soddisfatte. Andiamo con ordine.


L’arrivo del talentuoso chitarrista Rick Van Zandt alla corte del mastermind Kurdt Vanderhoof, unico superstite della band che sorprese il mondo quasi un quarto di secolo fa (l’omonimo debut vide la luce nel 1984), sembra non aver scalfito ed influenzato il Metal Church pensiero, che torna ad essere, dopo le belle evoluzioni sul tema presenti nel disco di due anni fa, saldamente ancorato al suono di un tempo che fu. Che la clessidra per la band di Seattle si sia fermata negli anni ottanta viene immediatamente confermato dall’opener “The Company Of Sorrow”, brano che avrebbe potuto benissimo essere contenuto come b-side dell’epoca d’oro della band: ed è proprio questo il limite di “This Present Wasteland”.

Nonostante una line-up dall’altissimo tasso di classe i Nostri danno vita ad un disco suonato ed interpretato alla perfezione (la prova di Ronny Munroe in “Breathe Again” è da accademia del Metal), ma che manca della freschezza e dinamicità necessarie proprio a causa delle sue radici sin troppo ancorate al passato di un genere, nel quale, le cose più interessanti sono già state scritte tanto tempo fa. Non mancano di certo i caratteristici quanto incalzanti riff di chitarra o le ambientazioni suggestive a cui siamo stati abituati negli anni, ma il tutto fatica a rimanere impresso nella mente.
Tale sensazione è confermata dal fatto che, seppur non si trovi la presenza di alcun filler, mancano quei tre o quattro highlights che pretendiamo da una band di tale fama per giustificare l’acquisto di un disco che, seppur suonato, arrangiato e prodotto in maniera impeccabile è destinato ad un pubblico di die hard delle sonorità ottantiane proprio a causa dell’eccessiva coerenza musicale della band che, in assenza di fortissima ispirazione, non può che limitarsi a fare un disco di maniera.


Tutto l’appetito provato in attesa di questo nuovo capitolo della chiesa metallica è stato solo parzialmente soddisfatto da una pietanza che, seppur fatta con gli ingredienti giusti, è risultata un po’ troppo insipida. L’idea è che, così come successe un ventennio fa, il fermo credo nelle proprie convinzioni musicali sia stato e sia il più grande freno al successo di una band che si conferma di culto ma che non riesce, neppure in questo momento di grande ritorno in auge delle band storiche, a salire sulla carrozza del meritato, almeno per quanto fatto in  passato, riconoscimento.





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