Tim Ripper Owens
Play My Game

2009, SPV
Heavy Metal

Meglio solo che male accompagnato: Tim Ripper Owens pubblica il suo primo disco solista.
Recensione di Gaetano Loffredo - Pubblicata in data: 15/05/09

Dopo il provvedimento di sfratto (l’ennesimo) ricevuto dalla premiata ditta Jon Schaffer & Iced Earth, Tim “Ripper” Owens smette di cercare un gruppo disposto ad accollarsi le sue esigenze, mette a tacere tutti quelli che non credono o non hanno creduto in lui (vedi intervista) e catalizza tutti gli sforzi per dare alle stampe il primo disco solista, “Play My Game”, titolo scelto dall’etichetta tedesca SPV Records come a voler mettere la parola fine sulle polemiche inerenti i trascorsi di uno dei suoi artisti di punta.
Prima di commentare l’aspetto puramente musicale, va detto che il buon Owens di amici se n’è fatti parecchi nel periodo che l’ha visto calcare i palazzetti di tutto il mondo, e per la realizzazione di Play My Game si è rivolto a nomi piuttosto influenti quali Jeff Loomis (Nevermore), Craig Goldy (Dio), Carlos Cavaza (Quite Riot), Doug Aldrich (Whitesnake), Bruce Kulick (Kiss), Chris Caffery (Savatage, Trans-Siberian Orchestra), James Lomenzo (Megadeth), Bobby Jarzombek (Rob Halford) e tanti altri, impresa ardua citarli tutti.


L’esperienza acquisita è dimostrata da un album che riesce a sincronizzare groove e produzione, quest’ultima talmente curata da rasentare in più occasioni la perfezione. L’approccio “old school” è un pilastro di “Play My Game”, l’heavy metal primordiale si scontra però con i modernismi del cantato “deformato” di Owens che, in tutta onestà, non ho mai accolto con soddisfazione. Gli arrangiamenti sono sempre quelli, così come le voci filtrate (identiche a quelle di Beyond Fear), una tempesta di sovrapposizioni vocali e gli acuti “disarmonici” che ormai sono un trademark consolidato. Nonostante l’opinione sul suo timbro debba essere considerata puramente soggettiva, a decretare il successo o il fallimento di un disco spesso e volentieri è il songwriting, in questa occasione più che sufficiente: le costruzioni più elementari non sempre rendono al meglio (bene però "Starting Over" e "The World Is Blind"), sono invece le canzoni più arzigogolate ("Believe", "The Shadows Are Alive", "Death Race") ad approssimare la valutazione complessiva per eccesso.
La voglia di Owens di rimettersi in gioco non funziona a dovere perché a dispetto di un album compatto e quadrato, più volte ci si scontra con brani sin troppo elementari e il rischio è quello di stancarsi dopo un numero limitato di ascolti. 


Pare che Tim sia più portato per l’heavy metal classico di “Play My Game” che per le divagazioni progressiste di “Beyond Fear”, il suo “ego” lo costringe ad inseguire nuovamente i Judas Priest e sono convinto che l’ausilio di un songwriter all’altezza possa concedere la visibilità che merita. Il disco si fa ascoltare ma per durare nel tempo bisogna fare di più, molto di più.





Tracklist:
01.Starting Over
02.Believe
03.The Cover Up
04.Pick Yourself Up
05.It Is Me
06.No Good Goodbyes
07.The World Is Blind
08.To Live Again
09.The Light
10.Play My Game
11.Death Race
12.The Shadows Are Alive

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