Devin Townsend Project
Ki

2009, InsideOut Music
Alternative Rock

Godiamoci con calma Ki, un affascinante sguardo nella mente di un autentico genio.
Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 25/05/09

Si dice che la notte porti consiglio. Per Devin Townsend non è bastata una notte, bensì anni di onorata carriera, e successi ottenuti in ogni dove, passando da “semplice” cantante in "Sex And Religion" di Steve Vai, a mastermind di una delle formazioni più influenti del metal estremo come gli Strapping Youg Lad, senza dimenticarci dei suoi molteplici album solisti o con la Devin Townsend Band. Che Devin non fosse proprio una persona equilibrata è risaputo, e di questo pare averne preso coscienza e deciso di dare un taglio alla vita passata con i suoi eccessi, per “rinsavire”, per dichiarare che da oggi è un nuovo Devin.

Quanto ci sia di vero non siamo tenuti a saperlo, ma da quello che si può ascoltare in "Ki", pare che il buon Devin stia dicendo la verità. Il nuovo progetto musicale del musicista canadese, chiamato Devin Townsend Project, è un'opera che si preannuncia molto ambiziosa, con ben quattro dischi in rapida successione, suonati da ben quattro line-up differenti, scelte proprio da Townsend in base al mood specifico di ogni album. "Ki" è il primo della serie, e va considerato come una gigantesca introduzione al concept che sarà chiaro solo a serie ultimata. Un'introduzione che dà la cifra di questo straordinario musicista incapace di stare nei ranghi, oltre un'ora di musica che potremmo dire inedita, con un Devin mai così pacato e in pace con se stesso.

Sì perché è proprio il senso di pace, o meglio di una ritrovata pace, il feeling che più esce fuori da "Ki", un album quasi cantautoriale, visto il carattere strettamente intimo della musica proposta. Dimenticatevi le classiche chitarre di Devin, le tastiere sempre ben presenti, la violenza, l'ironia, e gli arrangiamenti superstrutturati, in "Ki" il nostro ha voluto completamente abbandonarsi per mettere in musica il suo nuovo stato psicofisico. Scelta spiazzante a dire il vero, perché un Townsend così pacato non si era mai ascoltato, autore di una prova vocale cristallina, incredibilmente espressiva, lasciando solo qualche sprazzo al suo inconfondibile timbro urlato. Non si era mai sentito un album del canadese così pulito, dai volumi bassi, le cui note sembrano essere avvolte dal silenzio, decisamente l'opposto delle roboanti costruzioni messe in mostra negli anni, non da ultimo il bellissimo "Ziltoid The Omniscient".

Un lavoro retto praticamente dal fraseggio di chitarre e voce, con una sessione ritmica di gran classe, discreta, essenziale ma puntuale nel riempire gli spazi lasciati da Devin. La cosa più sorprendente è che, nonostante le novità, lo stile è sempre riconoscibile, come se il genietto canadese riuscisse a plasmare a suo piacimento praticamente ogni cosa, che siano deflagrazioni industrial, partiture ambient, o ballate sui generis struggenti come "Terminal". Badate bene, se volete un disco che svagarvi, questo "Ki" non fa per voi. A "Ki" va dedicato tutto il tempo necessario, sopportando la “mancanza” (voluta) di ritmo durante i primi ascolti, per poter avvicinarsi progressivamente al significato centrale; il probabile disappunto iniziale si trasformerà quando scoprirete le finezze posizionate sottotraccia, gli arrangiamenti “sussurrati”, le melodie delicate e sognanti, quando la voce di Devin (aiutato da una cantante in più tracce) vi sarà ormai familiare, come le strutture, semplici eppure efficaci. Un artista che riesce a stupire anche in territori in cui tutta l'esuberanza caratteristica deve essere tenuta a bada, anche quando il canovaccio sembra ripetersi come in "Disrupt", o "Gato", con passaggi di chitarra e voce che si ripetono con una certa assiduità. Anche se ad ascoltare una brano come "Heaven Send", questo piccolo appunto, va a farsi benedire, con un crescendo emotivo esemplare, fino all'assolo centrale, tanto rassicurante e pinkfloydiano nella prima metà, quanto debitore del maestro Steve Vai nella seconda metà. Canzoni come "Coast", "Terminal", "Winter", "Lady Helen", la strumentale "Ain't Never Gonna Win...", sono quanto di più profondo mai composto dal canadese, filtrando il suo tocco moderno, e non rinunciando a un briciolo della proverbiale ironia in "Trainfire", una sorta di parodia del rock alla Elvis, ritornando anche su lidi più convenzionali sul finale di title-track.

Se il buongiorno si vede dal mattino, possiamo solo attenderci grandi cose dai seguenti capitoli di questo progetto, già anticipati come un “ritorno” a materiale prog in "Addicted", e con la musica più pesante mai composta (a quanto ci dice Devin) in "Deconstruction". Al momento godiamoci con calma questo "Ki", un affascinante sguardo nella mente di un autentico genio.



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