Dream Theater
Black Clouds & Silver Linings

2009, Roadrunner Records
Prog Metal

I Dream Theater tornano a regalare sogni con un album ricco di emozioni.
Recensione di Marco Ferrari - Pubblicata in data: 19/06/09

Il pensiero alchemico è definibile come quel sistema filosofico/esoterico che, attraverso la combinazione di diversi elementi chimici, porta alla conquista dell’omniscenza. Come tutti i veri alchimisti, anche i Dream Theater, per raggiungere l’apice della propria scienza, hanno saputo unire capacità innate ad una chiara e rigorosa conoscenza della materia. Dopo aver scoperto l’elisir di lunga vita (“Images And Words”) e la pietra filosofale (“Scenes From A Memory”), la band americana, forte del successo interplanetario, ha provato a spingersi oltre i propri limiti andando alla ricerca di una nuova dimensione artistica. Tale propensione da parte del quintetto newyorkese non è certo una novità: dopo le innovative sperimentazioni del controverso “Train Of Thought”, ecco arrivare  gli altalenanti connubi musicali presenti in “Octavarium” e  “Systematic Chaos”, i quali hanno alimentato l’eterno contrasto di critiche ed elogi (equamente meritati), che si sono susseguiti negli ultimi sei anni.

Forte di nuove e toccanti vicende personali, la band capitanata da Petrucci e Portnoy arriva al suo decimo album in studio libera più che mai da ogni condizionamento di mercato e pronta semplicemente ad esprimere al meglio la propria musica che, diciamolo subito, arriva in certi frangenti a dipingere alcune delle più belle suggestioni del teatro del sogno.
Black Clouds & Silver Linings” risulta essere un progetto ambizioso, nel quale trovano spazio “solo” sei canzoni caratterizzate da una durata media impegnativa, ma che raramente cadono nel mero esercizio stilistico come accaduto nel passato più recente della band.


LE OMBRE DEL PASSATO


L’arduo compito di aprire l’album è affidato a “A Nightmare To Remember”, che nei suoi sedici minuti sembra soffrire di tutte le problematiche precedentemente sottolineate. Il brano racconta di un incidente automobilistico capitato al buon Petrucci, il quale, evidentemente, ha maturato un forte senso di soffocamento legato a questa esperienza. Infatti, nonostante l’introduzione sia molto suggestiva, la canzone è dominata da atmosfere molto pesanti, soprattutto per quanto concerne le linee vocali. La voce di LaBrie non riesce nel compito di donare ariosità ad un brano asfissiante, forse anche a causa delle incursioni canore di Mike Portnoy che risultano in certi frangenti decisamente fuori luogo. Da salvare alcuni stupendi anfratti nella lunga parentesi musicale, che risulta però, nel complesso, troppo legata al tecnicismo fine a se stesso.


RAGGI DI LUCE


Fortunatamente le atmosfere dell'opener risultano un caso isolato all’interno del platter e le  sorprese, quelle belle, sono dietro l’angolo, a cominciare dalla stupenda “A Rite Of Passage”, brano scelto oltretutto come singolo apripista. Retta da una melodia tanto semplice quanto efficace, la canzone si sviluppa nella sua prima metà in maniera lineare ed esalta il lato più AOR dei Dream Theater, che sfocia in un ritornello difficile da dimenticare anche dopo un solo ascolto.  La seconda metà del brano vede come attori protagonisti Petrucci e Rudess, i quali, su di una base thrash maledettamente accattivante, si lanciano in una sfida di assoli tecnicamente pregevoli e follemente ispirati. In tal senso preme sottolineare l’importanza di Myung che, di fatto, regge da solo la struttura ritmica sulla quale si sviluppano le interessanti, quanto intricate, trame soliste.


DOLCI SI', MA CON CLASSE


Come in ogni album che si rispetti, il quintetto americano non si risparmia il passaggio (obbligato?) della ballata, che nell’occasione prende corpo nella piacevole “Wither”. Il brano è leggero e toccante al tempo stesso, come nella migliore tradizione dei Dream Theater, che si confermano maestri in questi delicati intermezzi.


IL CERCHIO SI CHIUDE


“The Shattered Fortress” è un brano impossibile da leggere in chiave isolata, in quanto rappresenta il quinto e conclusivo capitolo del personale concept (iniziato con “The Glass Prison” in “Six Degrees Of Inner Turbulence”) legato alla difficile lotta contro l’alcolismo vinta da Mike Portnoy. La canzone è ben strutturata e contiene al suo interno tutte le melodie presentate negli album precedenti, che però vengono rilette e sviluppate. Chi si aspetta un semplice medley resterà deluso, in quanto la rivisitazione del passato è solo uno strumento per donare continuità alla narrazione all’interno di una struttura musicale in continua evoluzione. Sicuramente il capitolo più riuscito del concept.


IL DONO PIU' BELLO


Provare a descrivere e a raccontare un brano pensato e dedicato alla morte di un genitore è forse la cosa più ardua che mi sia mai capitata in ambito giornalistico. La prematura scomparsa del papà di Mike Portnoy è alla base di questo pezzo intensissimo, in cui il talentuoso batterista prova a rappresentare in musica i propri infiniti sentimenti di ammirazione nei confronti della persona che gli ha insegnato la vita. Dopo un intro malinconico, “The Best Of Times” punta a raccontare i ricordi più dolci e piacevoli attraverso melodie ariose e frizzanti, che ricordano molto da vicino i Rush (chi ha detto Red Barchetta?). La canzone è sorprendente e molto toccante, grazie anche ad un John Petrucci che torna a tessere assoli nei quali la tecnica diviene solo uno strumento per regalare emozioni, come nella sua migliore tradizione.


STILE LIBERO


Totalmente affascinato mi ritrovo, senza quasi accorgermene, al gran finale del disco, rappresentato dai diciannove minuti di “The Count Of Tuscany”, senza dubbio uno dei brani più ambiziosi e complessi mai scritti dal combo americano. Si tratta, infatti, di una canzone estremamente progressiva che non disdegna contaminazioni psichedeliche e che rimanda in parecchi frangenti ai Pink Floyd. L’alternanza di situazioni musicali gode di impressionante naturalezza, tanto da far apparire anche il moderno ritornello un tutt’uno con il contesto artistico. L’aspetto più sorprendente di “The Count Of Tuscany” risiede nella sua freschezza che ci accompagna (ed in certi spezzoni addirittura ci culla) in tutta la sua lunghezza e che va a configurare un brano meraviglioso e musicalmente impressionante.


Prima di chiudere la recensione, mi sento in obbligo di rispondere ad una domanda importante: come possiamo collocare “Black Clouds & Silver Linings” all’interno della discografia dei Dream Theater? E’ chiaro che i capolavori indiscussi del quintetto prog metal per eccellenza risultano lontani, semplicemente perché è difficile, se non impossibile, riscrivere la storia della musica ad ogni pubblicazione. La differenza rispetto ai capitoli più recenti e controversi credo stia tutta qui: i Nostri pare abbiano desistito dal ricercare a tutti i costi il disco perfetto e, togliendo il ruolo da protagonista alla tecnica musicale, hanno riscoperto l’importanza di raffigurare l’uomo e la sua vita attraverso la musica. Gli alchimisti hanno finalmente capito che una volta scoperti gli elementi più alti e puri, è inutile procedere oltre con le ricerche e, come ci ha delicatamente insegnato Paulo Coelho, la più alta ed importante scoperta a cui può ambire un uomo, è quella di imparare ad ascoltare il proprio cuore e, grazie a questa ritrovata dimensione, il teatro del sogno è tornato a regalare emozioni.





01.A Nightmare To Remember

02.A Rite Of Passage

03.Wither

04.The Shattered Fortress

05.The Best Of Times

06.The Count Of Tuscany

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