Tarja
My Winter Storm

2007, Universal Music
Symphonic Metal

Recensione di Marco Belafatti - Pubblicata in data: 09/09/09

C’era una volta una band che, spinta da irreparabili dissapori intestini, decise di licenziare in tronco la propria cantante, all’apice del successo ed alla fine di un lungo e soddisfacente tour mondiale. La decisione fu comunicata tramite una lettera aperta che fece scalpore tra la folta schiera di fan e gli effetti dello split si protrassero per circa due anni a colpi di gossip, misteriose interviste, incessanti  voci di corridoio e silenzi stampa...”.


Potremmo partire da queste parole per introdurre il racconto che vede protagonista Tarja Turunen, colei che fino a qualche anno fa era l’immagine e l’amata frontwoman dei finnici Nightwish, uno dei symphonic metal act più famosi ed importanti sulla faccia del pianeta. Preferiamo però far coincidere il vero inizio della storia con la pubblicazione di “My Winter Storm”, primo album solista del soprano finlandese, per non rischiare a nostra volta di cadere nel solito tranello mediatico e ricamare questa recensione sugli inutili strascichi di quella che, come tutti sapranno, è stata l’ultima puntata di una sorta di telenovela a sfondo musicale durata più di due anni.


Colei che, ancor prima del misfatto, riusciva a farsi notare presso ampie fette di pubblico grazie ad un carisma impareggiabile e ad un estro che le ha permesso di passare dai palchi dei più famosi festival metal ai teatri dell’Opera, è oggi una cantante consapevole del proprio status di prima donna, senza più “ali tarpate” e libera di tradurre in note la propria ispirazione. Ovviamente, per un album del calibro di “My Winter Storm”, sospirato frutto di un contratto d’assoluto prestigio con una delle più importanti major internazionali, la Universal Music, nulla poteva essere lasciato al caso… Non vi sorprenda, dunque, l’enorme campagna pubblicitaria messa in atto dalla nuova label, il sapere che tra i fautori del maestoso sound orchestrale di questo full length possiamo trovare il team al quale fa capo Mr. Hans Zimmer (celeberrimo autore di soundtrack hollywoodiane), o il leggere tra le note del booklet nomi come quelli del produttore Daniel Presley (discendente del più noto Elvis), di turnisti d’eccezione quali Doug Wimbish (Annie Lennox, Joe Satriani, Madonna, Rolling Stones) al basso, Alex Scholpp (Farmer Boys) alla chitarra, Earl Harvin (Pet Shop Boys, Air) alla batteria e Torsten Stenzel (Nelly Furtado, Moby, Vanessa Mae) alle tastiere, senza elencare i numerosi guest.


Con questi presupposti si poteva tranquillamente partorire un capolavoro, ma è giusto premettere che “My Winter Storm”, pur essendo un debutto curato ed apprezzabile, rimane un’opera frammentaria e ben lontana dal poter essere ricordata negli anni a venire. Anche a livelli di produzione così alti, l’alchimia tra musicisti e cantanti non è cosa facile da ottenere, e Tarja sembra non aver fatto i conti con questo piccolo particolare. Allo stesso tempo, compositori del calibro di Tuomas Holopainen (da sempre unica mente dietro alle opere degli ex compagni di squadra) non si trovano al mercato delle pulci, e la cara Tarja, che ancora non possiede l’esperienza di una Björk o il genio innato di una Tori Amos per comporre un disco completamente da sola, ha preferito interpretare brani composti da autori sconosciuti, intervenendo soltanto qua e là con il proprio tocco e perdendo così di vista il concetto di originalità.


Considerando questi fattori, capirete quanto il debutto di Tarja risulti vincente da un punto di vista vocale e sinfonico, ma altresì carente in coesione e spontaneità. Il brano d’apertura, nonché primo singolo estratto, “I Walk Alone”, versione inimmaginabilmente kitsch di un Danny Elfman (per l’atmosfera fiabesca ricreata dalle tastiere) che ‘flirta’ con Sarah Brightman ispirandosi al “Requiem” di Mozart, non è certo il miglior biglietto da visita che la Nostra potesse permettersi. Che figuraccia, signora Turunen! Nemmeno la successiva “Lost Northern Star”, affogata in un mare di blande e banali chitarre elettriche, evidentemente piazzate qua e là all’interno del platter proprio per non deludere o disorientare l’audience che ha portato Tarja sino a questi livelli, riesce a far decollare il disco…


Eppure, bastano un’introduzione affidata ad un rovente violoncello ed una melodia sognante per spazzare via qualsiasi ombra di dubbio: “The Reign”, col suo maestoso arrangiamento d’archi, è la prova della passionalità elargita dall’artista in alcuni di questi brani. Questa piccola magna opera viene presto doppiata dalla solennità di “My Little Phoenix” e dal pop-rock radio-friendly (ma pur sempre di stampo ‘cinematografico’) di “Die Alive”, secondo singolo estratto. Inutile negarlo: il punto di forza del soprano rimangono pur sempre i ‘lenti’. Lo dimostra il trittico di metà album composto dalla favola dark di “Boy And The Ghost”, dalla toccante aria di “Sing For Me” e dalla stupefacente “Oasis”, malinconica sonata per soli piano, archi e voce che sembra rischiarata dalla magica luce di un’aurora boreale (questo è l’unico brano interamente composto dalla Turunen e, guarda caso, è tra i migliori dell’album).


Le ultime idee del disco vengono condensate nella divertente cover del classico di Alice Cooper, “Poison”, e negli intimismi crepuscolari di “Our Great Divide”, lasciando poi spazio alla misteriosità notturna di “Damned And Divine” ed al pastorale candore di “Minor Heaven”, ma la sensazione di dejà-vu, purtroppo, è sempre in agguato. Il finale, invece, è alquanto rovinoso: “Ciarán's Well” appare come un goffo tentativo di suonare heavy ad ogni costo, mentre “Calling Grace” non è altro che una breve ballata acustica senza anima e non bastano certo la voce della Turunen e la presenza di Kiko Luoreiro degli Angra alla chitarra a farcela piacere.


Quella che emerge da “My Winter Storm”, ahimè, non è l’anima di Tarja, ma il fantasma di una voce che è stata irrimediabilmente plasmata da qualcun altro e che non ha ancora capito quale sia la strada giusta da intraprendere. Da un punto di vista puramente stilistico, il limite principale dell’ex vocalist dei Nightwish è quello di voler suonare competitiva nei confronti della vecchia band, andando ad accontentare in più di un’occasione una scena già ben definita come quella del metal al femminile, quando, in realtà, sono proprio gli episodi di stampo pop o più prettamente operistico quelli meglio riusciti.


In fondo, dobbiamo però ammettere che “My Winter Storm” un pregio lo possiede: quello di scaldare il cuore di chi l’ascolta, sposandosi alla perfezione con l’atmosfera malinconica delle tarde giornate invernali, con la neve che cade lentamente fuori dalla finestra, mentre un fuoco domestico riscalda le membra e concilia la malinconia che, inesorabile, accompagna la fine di un’era.





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