Steppenwolf
The Second

1969, Dunhill
Rock

Recensione di Giovanni Capponcelli - Pubblicata in data: 15/09/09

Ovvero: Esordio - Parte seconda. Sei mesi dopo la pubblicazione dell’esordio il gruppo è immutato, condotto con sempre maggiore autorità dalla chitarra e dalla voce di John Kay, prodotto dall’esperto Melker; Edmonton aggiunge groove di stampo funky alle percussioni, McJohn e i suoi mirabili capelli si concedono qualche divagazione timbrica maggiore.

L’album perde la granitica omogeneità del sound del predecessore, manca dell’impatto culturale degli anthem "Born to be Wild" e "The Pusher"; guadagna in ecletticità con l’inserimento di arrangiamenti orchestrali e strumenti acustici; sfodera un’ottima vena scanzonata e satirica e si riconcilia con la psichedelia tentata dai primi Sparrow, qui rivista nella veste fantasiosa del Brian Jones lucido nei capolavori di metà ’60. Il singolo "Magic Carpet Ride" e l’album stesso arriveranno alla posizione n°3 delle rispettive charts: un successo; un altro.

Il rock degli Steppenwolf è qui più che mai “staminale”, aperto ad ogni direzione, ancora indifferenziato, come buona parte della musica di fine Sessanta; fondendo un’indissolubile base Blues (Kay in primis), hard-pop di ottima fattura e acido leggero, costruisce un sound che sarà di ispirazione tanto all’Hard, quanto al Southern, quanto al mainstream di gruppi come J.Geils Band, Foghat, Nazareth, REO Speedwagon. Sì che il concept si fa quasi sperimentale, soprattutto nel side B: una lunga serie di pezzi concatenati l’uno all’altro, a cui sono incollati perfino sketches rumoristici o parlati (tentazioni Zappiane represse?); l’equilibrio non manca grazie soprattutto all’eccellente songwriting di Kay. L’accresciuta complessità del lavoro si deve anche al fatto che l’album fu registrato in uno studio con un equipaggiamento a 16 piste invece che 8 (come per l’esordio).
"Magic Carpet Ride", hit al pari di "Born To Be Wild", è la prova migliore dei progressi del gruppo: un “three-chord riff” irresistibile, elastico, estendibile a la AC/DC ma con un appeal tutto funky grazie all’interplay organo-chitarra; sulla parte è centrale, ritmata da un grande Edmonton, si spiegano rumori cosmici di feedback e l’ampio organo di McJohn: è la versione definitiva dell’Estate dell’Amore by Steppenwolf: meno Amore, più Estate. Dal vivo suonava anche meglio, con una chitarra più corposa ed un bel duetto finale ululante, giocato sul registro acuto degli strumenti. Sul versante blues i pezzi forti sono "Tighten Up Your Wig" e "Disappointment Number (Unknown)", la prima una cover non ufficiale di Snatch It Back And Hold It di Junior Wells (citato nel testo), la seconda in stile addirittura da vecchio Delta, con un incipit che sembra "You Gotta Move" degli Stones e uno svolgimento più simile a "Your Wall's Too High" sul primo album; bella la slide saltellante. "Spiritual Fantasy" è il divertissemente psichedelico con arrangiamento barocco in stile 1966, appena pretenzioso ma elegante. Le opener dei due lati del 33 giri "Faster Than the Speed of Life" e "28" sono perfetti pezzi hard pop: il secondo in particolare è veramente contagioso anche se rivestito di una patina di “adolescenziale” un po’ fastidiosa. Gli ultimi pezzi "Lost And Found By Trial And Error", "Hodge, Podge, Strained Through a Leslie", "Resurrection e Reflections" compongono quasi una suite funk-blues in più parti che ricorda certe digressioni strumentali dei War e si tiene lontana anni luce da tentazioni progressive alla Yes. Kay si concede qualche “drive” d’armonica amplificata da buon dilettante, con l’effetto di collocare il sound tra gli Stones e J. Geils: gli Steppenwolf mancano di virtuosismo ma hanno il feeling e la sincerità giusta; anche McJohn esce dal guscio concedendosi un solo molto blues. Si chiude con la citazione dello standard Shake your money maker, prima del frammento "Reflections" sussurrato su un background di pura psichedelia. Belle, potenti, risplendenti di un hard rock non ancora strafottente ma addirittura aperto alla contestazione, "None of Your Doing" e "Don't Step On The Grass, Sam" riannodano il filo con l’album d’esordio. La seconda, un duetto vocale tra Kay ed Edmonton era pezzo forte anche in live, con le sue poderose parti per chitarra, le esplosioni di organo e una cadenza mid-tempo nel futuro stile Spooky Tooth: il testo è l’obbligato j’accuse di stampo pseudo-ambientalista che anticipa le più critiche tirate di Valenti coi Quicksilver (What About Me).

The Second” è la faccia che non ti aspetti dei biker canadesi trapiantati in California; ago della bilancia tra l’esordio monolitico e il fin troppo pretenzioso At Your Birthday Party (che però vanta la migliore canzone di Kay: It's Never Too Late…), è un lavoro estroverso, divertente, colorato al pari della copertina (bruttina, in realtà…) forse non totalmente sviluppato, comunque ricco di idee. Ai posteri resta la hit, Magic Carpet Ride, e il sospetto di avere per le mani una band da riscoprire una volta per tutte.



Line Up:

Jerry Edmonton: Drums
John Kay: Guitar, Vocals
Goldy McJohn: Keyboards
John Russel Morgan: Bass
Michael Monarch: Guitar





01. Faster Than The Speed Of Life  
02. Tighten Up Your Wig   
03. None Of Your Doing  
04. Spiritual Fantasy  
05. Don't Step On The Grass, Sam   
06. 28  
07. Magic Carpet Ride  
08. Number (Unknown)  
09. Lost And Found By Trial And Error  
10. Hodge, Podge, Strained Through A Leslie  
11. Resurrection  
12. Reflections

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