Guardando la copertina di questo “One Day”, ti aspetteresti quasi di trovarti di fronte ad una copia carbone dell’ultimo album di James Blunt… Poi, libretto alla mano, ti accorgi che le foto promozionali non ritraggono il ragazzetto anglosassone bello e dannato che tanto piace alle teenager di oggi, bensì un più semplice cantautore tedesco che porta il nome di Maximilian Hecker.
Inserisci il cd nel lettore e, già con le prime note di “The Space That You’re In”, ti ritrovi avvolto da una melodia romantica ma tutt’altro che svenevole, sorretta da un’impalpabile ossatura di tasti bianchi e neri e dalla voce nostalgica e spiccatamente cantautorale del Nostro. Giusto un antipasto alla rilettura in chiave introspettiva del britpop degli Oasis, riversata nella più vivace “Misery”, ed alla liquida ballad “Miss Underwater”, un’eco lontana nella quale rivivono i bagliori espressivi di mai troppo compianti cantautori delle scorse decadi (un Nick Drake più spensierato, un Leonard Cohen più etereo).
Il quinto album della giovane promessa mitteleuropea è un susseguirsi di emozioni intime, quasi sussurrate all’orecchio da una voce amica, famigliare, che riesce ad essere gentile senza mai imporsi, da strumenti quasi solamente accarezzati, che, con la loro semplicità, sono in grado di destarci dal dilagante torpore emotivo dei giorni nostri.
Le stupende “This Poison Called Love”, “The House Called Love” e “All These Cradles’ Blankets Will Never Veil My Whole Substance” sono i fotogrammi di un modo di intendere la musica che, ai nostri giorni, proprio a causa della sua intrinseca emotività, potrebbe tranquillamente passare inosservato, ma che ancora possiede il pregio di far vibrare le corde dell’anima. Certo, Hecker non avrà la bellezza di un James Blunt qualsiasi, e quindi non sfonderà forse mai a livello commerciale, ma la classe e la sensibilità di questo ragazzo sono un dono inappagabile e sono sicuro che in molti sapranno fare tesoro di queste emozioni senza tempo.
Per inguaribili romantici, ma non solo...