Anche una delle band più prolifiche della scena power metal tedesca degli ultimi anni arriva a spegnere le sue prime dieci candeline. Per gli At Vance del chitarrista Olaf Lenk, l’ottavo sigillo della propria discografia prende il nome, alquanto inflazionato, di “Ride The Sky” (mi viene in mente, oltre all’ovvio richiamo allo storico brano firmato Kai Hansen, anche al nome della band creata qualche anno fa dall’ex Helloween Uli Kusch) come a voler confezionare un tributo ad un intero genere in un’occasione così importante.
Quasi a voler rappresentare il decennio di vita, Ride The Sky racchiude al suo interno tutte le qualità (inespresse?) del combo tedesco che ci serve sul piatto un disco ottimamente suonato ed arrangiato, fatto di piacevoli spunti melodici, ma che non aggiunge nulla di nuovo rispetto a quanto già detto nei precedenti lavori. Che gli At Vance non siano una band rivoluzionaria nel modo di intendere la mucica non è certo una novità anche se album come “No Escape” hanno meritatamente accentrato l’attenzione di critica e pubblico (vuoi anche per le capacità canore di tale Oliver Hartmann). Nonostante l’ennesima rivoluzione all’interno della band, il nuovo nato mostra sin dalla prima traccia una timida propensione alla ricerca di un sound finalmente personale, ma che necessiterebbe di un songwriting molto ispirato per centrare il difficile obbiettivo. Il brano è un mid tempo particolarmente carico di suggestioni che però non offre spunti particolarmente interessanti e si salva solo grazie ad all’arioso ritornello. Le sonorità più tipiche della band sono ben presenti all’interno del disco e l’elenco dei brani più strettamente power è ben nutrito, senza riuscire però mai a lasciare qualcosa di concretamente memorabile nella mente di chi ascolta.
A dare un tocco in più al disco ci pensano le doti dei singoli e, se da una parte i virtuosismi alla chitarra di Olaf Lenk affascinano soprattutto nella bella “Farewell”, la calda e passionale voce dell’ottimo Rick Altzi conferma la tradizione degli At Vance in termini di grandi singer. La tradizione “classica” della band trova continuità anche all’interno di questo disco e per l’occasione viene scelto un estratto delle quattro stagioni di Vivaldi in cui, un passaggio dell’Estate, diviene l’ennesima occasione per Olaf di dimostrare tutte le sue capacità.
Il disco risente, quindi, di tutti gli aspetti che hanno contraddistinto questo decennio di musica da parte degli At Vance, gruppo che si è da sempre contraddistinto per le ottime doti dei singoli ma che, ancora una volta, non riuscirà a spiccare il volo e che temo, resterà alla memoria più per quello che avrebbe potuto fare che per i risultati effettivi.