65daysofstatic
Wild Light

2013, Superball Music
Post Rock

Recensione di Marco Mazza - Pubblicata in data: 16/09/13

Che i 65daysofstatic abbiano fatto da sempre di tutto per staccarsi dai comuni canovacci musicali è fuor di dubbio. In passato spesso ci sono riusciti, il loro disco d’esordio, “The Fall Of Math”, è uno straordinario composto dove post-rock ed elettronica creano trame dall’effetto stordente, in cui venature noise rendono ancora più ricco di dettagli il lavoro. All’epoca partirono subito paragoni eccellenti, in particolare con mostri sacri come i connazionali Mogwai (ma chissà poi perché), segno del successo riscosso dai ragazzi di Sheffild. I dischi successivi hanno sostanzialmente confermato il valore della band, anche se gli ultimi due capitoli, “We Were Exploding Anyway” e la colonna sonora spaziale “Silent Running”, si sono rivelati molto più piatti e banali. La dose di elettronica è notevolmente aumentata con il tempo, allontanandosi dall’originale formula per avvicinarsi a qualcosa di molto più “dance”; lavori che regalano davvero poche emozioni. “We Were Exploding Anyway” in particolare ha diviso la critica, ed è, sotto diversi aspetti, davvero un disco irritante! Qualche anno è trascorso da allora e un nuovo album si presenta sul mercato: “Wild Light”. Cosa ci tocca sentire questa volta? Vuoi vedere che i 65daysofstatic sono artisticamente morti?
 
Inaspettatamente, “Wild Light” segna un passo indietro nel tempo rispetto a “We Were Exploding Anyway”, riavvicinandosi a sonorità più simili a quelle delle prime uscite. Si colloca esattamente a metà tra l’anima totalmente elettronica e quasi ballerina degli ultimi anni, che viene ora più controllata, e quella più riflessiva e post-rock-oriented dei primi tre album, che torna in evidenza. Le otto tracce oscillano quindi tra queste due dimensioni; nella prima si muovono brani governati da melodie al synth come “Prism”, nella seconda pezzi in cui il focus va sulle atmosfere, come nell’apocalittica “The Undertow” o “Taipei”. Quest’ ultimo, come altri, mostra un climax coinvolgente per tutta la sua durata, la tensione cresce nel finale attraverso l’aumento dei ritmi; un classico stratagemma del post-rock per raggiungere tale risultato. I 65daysofstatic tentano dunque di ristabilire l’equilibrio tra le diverse componenti cercando di confezionare un prodotto che possa essere ancora una volta originale. L’elettronica è ancora ben presente, com’è giusto attendersi dai 65daysofstatic ma ora la miscela è tornata a funzionare, i britannici sembrano aver fatto ordine nelle loro menti. La sensazione generale che si ha ascoltando “Wild Light” è quella di assistere a un’esplorazione spaziale ai confini dell’Universo; in alcuni tratti le sonorità sono accostabili a quelle dei God Is An Astronaut. Un viaggio di cinquanta minuti attraverso brani emozionanti e d’effetto come “Unmake The Wild Light”, un itinerario apocalittico che terminerà con i droni di “Safe Passage”.
 
No, dunque. E’ questa la risposta alla domanda che ci siamo posti all’inizio di quest’articolo. I 65daysofstatic non sono artisticamente morti. Sebbene l’ultima uscita non sia certo il capolavoro della band e non brilli particolarmente nemmeno in quanto a sperimentazione, ha almeno il merito di riportare il gruppo a produrre la musica a loro più congeniale, una musica in grado di muoversi tra diversi stili, post-rock, alternative, musica elettronica, noise, math rock. Finalmente i quattro rivedono le dosi dei diversi ingredienti riavvicinandosi in parte a quanto fatto con i primi album. “Wild Light” è un album valido, futurista e d’impatto come molti lavori dei 65daysofstatic; un disco che riavvicina la band ai fan che avevano storto il naso con “We Were Exploding Anyway” ma che non dimentica quelli a cui era piaciuto.



01. Heat Death Infinity Splitter
02. Prisms
03. The Undertow
04. Blackspots
05. Sleepwalk City
06. Taipei
07. Unmake the Wild Light
08. Safe Passage

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