Sigur Ros
()

2002, PIAS Records
Post Rock

Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 11/04/12

Spesso usiamo le parentesi a sproposito, poiché racchiudiamo in esse non specificazioni inutili e ridondanti, ma l’anima e l’essenza stessa della frase, la chiave senza la quale non sarebbe possibile comprendere il nostro scritto. Allo stesso modo, nasce "()", il terzo inciso in studio degli islandesi Sigur Rós che giunse, nel 2002, dopo un primo esordio pessimo (“Von”) ed un secondo esordio decisamente meglio riuscito.

A differenza di "Ágætis Byrjun" però, dove tutto pare essere stato costruito con la sovraimpressione di molti strati sonori, "()" è un disco che gioca tutto in sottrazione: via gli arrangiamenti d’archi, via l’artwork (solo uno scorcio di paesaggio islandese sopravvive nel corpo delle parentesi), via i titoli dalle canzoni, e via persino i testi delle canzoni, di modo tale che il folletto Jónsi possa sfruttare la sua unica voce come fosse uno strumento al pari di tutti gli altri, in declinazioni sillabiche della parola “Iussàilo” (libera interpretazione del redattore – e non crediate ai testi che trovate in giro per la rete, che sono libere interpretazioni anche loro) che fanno nascere il tanto famigerato Hopelandic, lingua inventata che caratterizzerà da ora in avanti la musica dei Sigur Rós e che viene definita tale più per una necessità di critica e di pubblico, smaniosi di dare un nome ed una definizione ad ogni cosa, più che a seguito di una reale convinzione della band.

L’opera si caratterizza in due parti ben distinte – separate da un leggendario silenzio di trenta secondi; all’inizio, "()" è un concentrato di brani dalla struttura fortemente ambientale, dove agli sfarzi sinfonici del passato sopravvivono solo le tastiere ed i rumori, in cui la struttura canzone preferenziale è quella del rondò, tutti sfruttati su crescendo “post” di inaudita timidezza, nondimeno di grandissima ed esemplare efficacia (emblematica, in tal senso, “Untitled 3”). Ascoltando i brani della prima parte di "()", sembra quasi di trovarsi su una collina che guarda, a vertiginosa altezza, verso un panorama islandese di quelli che puntano all’infinito, e nel rimirare tanta meraviglia si è come consapevoli che, da un momento all’altro, il sole calerà inesorabilmente, facendo sì che il nostro sguardo non punti più verso l’esterno di questo unico panorama (sonoro) ma, piuttosto, all’interno della nostra anima, scovando tremende meraviglie che, forse, era bene rimanessero celate. Ed ecco, difatti, che puntuale l’oscurità cala sull’urlo di disperazione crepuscolare di “Untitled 5”, introducendo la seconda parte d’opera dove a “sporcare” il post-rock degli islandesi ci pensa una deriva di carattere maggiormente progressive, con organi incisivi ed epici che irrobustiscono brani di rassegnazione (“Untitled 6”), accettazione dell’inesorabile verità che ci portiamo dentro (“Untitled 7”) e l’inevitabile ripresa della lotta che è la vita di ciascuno di noi (un altro capolavoro assoluto della storia della musica che risponde al non-titolo di “Untitled 8”).

E’ un album totalizzante "()", di quelli che non accettano alcun compromesso… Ciononostante, in questo sua essenzialità cosmica esso nasconde la vera anima musicale dei Sigur Rós, che hanno usato questa parentesi a sproposito, per rivelare al mondo ciò che loro autenticamente sono, musicalmente parlando. Proprio come tale, questo inciso mostra un unico, grande “difetto”: il fatto di essere opera discografica estremamente difficile, al limite dell’ermetismo.

Ora: è indubbio il fascino che "()" è in grado di sprigionare su chiunque mostri un minimo di gusto e cultura musicale, tuttavia non è automatico che qualunque ascoltatore metta a disposizione del disco i mesi (se non addirittura gli anni) necessari affinché esso venga compreso appieno, in ogni sua sfumatura. Ciononostante, se queste risorse verranno messe in campo, scoprirete ben presto che "()" vi divorerà come il più devastante e letale dei tumori, ed è con terrificata sorpresa che vi accorgerete di essere al cospetto di un album che è, semplicemente, immortale.

Il sottoscritto non può che concludere dicendovi che il gioco vale assolutamente la candela, e che il numero messo in fondo all’articolo, in questo caso specifico, non significa proprio niente. E’ una mera parentesi.



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