Sigur Ros
Valtari

2012, EMI
Post Rock/Ambient

I Sigur Rós inseriscono il pilota automatico per una tranquilla crociera... Pure troppo!
Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 25/05/12

"Non riesco davvero a ricordare perché abbiamo iniziato quest’album, non so più che cosa stavamo cercando di fare in quel momento. Sessione dopo sessione, nulla prendeva forma, abbiamo perso concentrazione ed eravamo sul punto di rinunciare... Abbiamo rinunciato per un po'. Ma poi è successo qualcosa e la forma ha iniziato ad emergere, e ora posso dire in tutta onestà che questo è l'unico album dei Sigur Rós che ho ascoltato per puro piacere in casa mia dopo averlo finito

Non è per pigrizia redazionale che viene riportata per intero la presentazione del bassista Georg Holm, pubblicata sul sito ufficiale dei Sigur Rós, al fine di introdurre la recensione di “Valtari”, ma unicamente in quanto all’interno delle parole che avete appena letto vi sono sia la chiave di lettura che la chiave critica del sesto inciso in studio della band islandese.

La prima parte della dichiarazione pare confermare la leggenda che voleva i Sigur Rós in profonda crisi creativa al termine del tour in supporto al precedente “Með suð í eyrum við spilum endalaust”, tanto che si vociferava insistentemente che questo disco fosse pronto da oltre un anno, ma che la band lo avesse gettato via, decidendo di reinciderlo da capo e dando modo al frontman Jónsi di intraprendere, nel frattempo, la sua carriera solista maggiormente pop-oriented con “Go”. Quindi, la seconda parte della dichiarazione ci dice chiaramente che questo “Valtari” è opera decisamente ambient, tanto da poter essere messa come gradevole sottofondo nella casa del buon Georg. Vediamo, tuttavia, di essere maggiormente circostanziali nel cercare di capire le ragioni che hanno portato ad un tale risultato.

“Valtari” è un disco che, volendo, può essere benissimo visto come una ripresa dei tratti forti del carattere e della personalità che i Sigur Rós hanno dimostrato nel corso degli anni, disco dopo disco: da “Von” esso riprende la già citata volontà ambientale, mentre da “()” si prende un pizzico di ermetismo e la decisa testardaggine di essere totalizzanti nell’“agire in sottrazione per aggiungere”, in particolare prendendo il sinfonismo di “Takk…” ed “Ágætis Byrjun” e portandolo all’estremo con un’intera orchestra ed un coro di voci bianche, a sostituire pienamente la tipica strumentazione del lato rock dei Sigur Rós.

Ne risulta un inciso in cui le canzoni propriamente dette sono esclusivamente due, neanche a farlo apposta entrambe splendidi capolavori: “Varúð” ha una melodia ed un crescendo che sono la perfetta sintesi di quando la più nera delle disperazioni sta per divenire il più lumisono dei trionfi, mentre “Rembihnútur” presenta l’unica concessione ad una struttura ritmico-armonica di stampo maggiormente pop (molto lento e dilatato, ovviamente). Il resto, invece, è un’accorata richiesta da parte dei Sigur Rós di entrare in un contesto maggiormente atmosferico, in cui pezzi assolutamente umorali e privi di qualsivoglia sezione ritmica dipingono paesaggi sonori di volta in volta diversi, ma tutti accumunati dall’essere piuttosto vasti (leggi: brani di lunga durata) e decisamente scarni negli elementi costitutivi (leggi: scarsa variabilità nonostante l’impiego di orchestra e voci bianche). E se il gioco risulta oltremodo interessante ed affascinante nelle prime “Eg Anda” ed “Ekki Múkk”, da “Dauðalogn” in avanti tutto pare essere come un enorme buco nero… meglio: un rullo compressore che investe tutto appiattendo la nostra attenzione e la nostra emozione (da cui, sardonicamente, si capisce perché la band abbia voluto intitolare questo disco “Valtari”, che significa, per l’appunto, “rullo compressore”).

L'ultimo nato in casa Sigur Rós, dunque, è inciso estremamente problematico, quanto disco certamente riuscito solo in parte. L’impressione che deriva dal suo ascolto è quella di un’opera incompiuta, che necessitava di maggiore fuoco e convinzione da parte della band. In altre parole, se è stato davvero rifatto una volta, era bene che, prima della pubblicazione, lo si rifacesse una seconda volta, perché la forma e la direzione che Georg declama all’inizio nella sua entusiasta dichiarazione… beh, spiace davvero dirlo, ma la vede soltanto lui. Ed il passato della band è decisamente troppo ingombrante e carico della più pura emozione perché gliela si faccia passare liscia.

Varúð Sigur Rós, Varúð.





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