U.K.
Night After Night-Live

1979, E.G. Records/Polydor
Prog Rock

Recensione di SpazioRock - Pubblicata in data: 23/10/09

Recensione a cura di Cesare Vaccari

Penso di non dire nulla di nuovo se affermo che gli anni '70 sono stati la culla delle band seminali del Progressive-Rock. Senza le innumerevoli, famose o praticamente sconosciute, band nate e spesso scioltesi dopo solo un album, di quel decennio, probabilmente oggi non avremmo Dream Theater, Porcupine Tree, Marillion, Threshold, etc. 
Proprio nel momento in cui il fenomeno iniziò ad essere meno interessante, causa un notevole calo di creatività da parte delle band più importanti e il radicale cambiamento portato dall'immediatezza e dall'aggressività del punk, ecco nascere, completamente contro tendenza, una delle band più brillanti ed innovative di questo genere, gli U.K.
La loro musica, che unisce sapientemente il prog più classico, il jazz-rock e l’art-rock, senza perdere mai di vista la melodia, che contraddistingue alcune delle loro composizioni, rendendole facilmente memorizzabili, aggiunge qualcosa di nuovo a quanto era già stato fatto in quel decennio.
La band originalmente è fondata nel 1976 da quattro musicisti di nota fama: Edwin Jobson, tastiere e violino elettrico (reduce dall'esperienza con i Roxy Music), John Wetton, basso e voce (à membro dei King Crimson, degli Uriah Heep e che conosceva Jobson dall'esperienza comune nei Roxy), Bill Bruford, batterista storico degli Yes (collega di Wetton nei King Crimson) e Allan Holdsworth, chitarrista di Gong e Soft Machine, oltre che amico di Bruford.
L'album d'esordio, omonimo, uscito nel 1978, è sicuramente di ottimo livello, ma la vera ventata di aria fresca arriva con il secondo, "Danger Money", del 1979, quando la band si trasforma in un trio. Questo è dovuto non tanto all'uscita dalla band di Holdsworth e Bruford, artisti dal talento indiscutibile, quanto al fatto che la mancanza di una chitarra nella formazione, strumento solista per antonomasia, porta in primo piano il grande talento di Jobson, costretto a fare gli straordinari per riempire il vuoto che si è creato, alternandosi continuamente tra tastiere e violino, sia in parti d’accompagnamento che soliste. Non è inoltre trascurabile il fatto che i tamburi vengono ereditati da Terry Bozzio, che aveva militato nella band di Frank Zappa insieme a Jobson; forse (e sottolineo il forse) non tecnico quanto Bruford, ma decisamente più fantasioso e fuori dagli schemi.

A coronamento del tour promozionale di “Danger Money” viene registrato in Giappone nel giugno del 1979 questo “Night After Night-Live”, che è indubbiamente il vertice, ma purtroppo anche l’epitaffio, della breve carriera degli U.K..
“Night After Night” è anche il titolo della canzone di apertura, inedita in studio. I velocissimi passaggi iniziali, eseguiti all’unisono da tastiere e batteria, sono indicativi di quello che ci aspetta. Tutto sommato questa composizione è comunque una delle strutturalmente più semplici composte dalla band, potrebbe quasi essere un potenziale singolo. Il ritornello, melodico e orecchiabile, stranamente in 4/4, è facilmente memorizzabile, anche grazie alla calda voce di Wetton e ai cori dei colleghi, che sono ben udibili nonostante non vengano citati nei credits.

Una delle particolarità che saltano all’orecchio di chi si avvicina agli U.K. per la prima volta (è successo anche a me a suo tempo) è la naturalezza con cui le canzoni passano da parti estremamente impegnative dal punto di vista tecnico, dove lo spazio è lasciato ai virtuosismi individuali, ad altre molto più semplici e lineari, dove è la melodia a prevalere. Con il senno di poi si potrebbe dire che nelle composizioni, al novanta per cento firmate da Wetton in collaborazione con Jobson, sia già presente l’idea di base che verrà portata avanti pochi anni dopo negli Asia.
Molto più lenta, almeno nella fase iniziale, è “Rendez-Vous 6:02”, originalmente contenuta in “Danger Money”. L’itroduzione è retta da un etereo arpeggio di tastiere sul quale Wetton intona una melodia malinconica ed evocativa, carica di emozioni. Questo sino alla parte centrale, dove anche la sezione ritmica trova il proprio spazio e dove l’immancabile Jobson sfodera uno dei suoi più riusciti assoli. A mio parere una delle perle di questo album e di tutta la produzione degli U.K..
E’ la volta di “Nothing To Lose”, sempre dal secondo album, una canzone estremamente hard-rock ed immediata, se si considera che non vi è nessuna chitarra distorta a sostenerne la ritmica. Ma la convinzione con cui viene affrontata è sufficiente a renderla molto carica. Lineare nello sviluppo e molto orecchiabile contiene, nella parte centrale, uno degli assoli di violino elettrico più belli che io ricordi, da consegnare alla storia insieme a quello di “Out Of The Blue” dei Roxy Music, sempre opera di Jobson. Molto “reale” il passaggio di quattro battute in cui rimangono solo basso e batteria per dare il tempo a Edwin di passare dal violino alle tastiere per concludere la parte solista. Questa cosa, apparentemente banale, evidenzia il lato “umano” di questi musicisti, bravissimi certo, ma non esonerati dall’impossibilità di fare due cose contemporaneamente.

A chiudere il lato A troviamo “As Long As You Want Me Here”, secondo inedito contenuto in questo live. Nonostante il pezzo contenga un ritornello molto immediato, la canzone risulta complessivamente una delle più inaspettate del repertorio della band. Il tempo è molto particolare, saltellante e le tastiere risultano in alcuni passaggi dissonanti. Da ascoltare più volte.

“Alaska” apre il lato B. La canzone, strumentale, è composta da Jobson, e come tale è completamente basata sul lavoro delle tastiere e del synth. Ma non si può non mettere in evidenza il lavoro eclettico di Terry Bozzio, che suona, in generale per tutta la durata dell’album e in particolare in questo pezzo, la batteria in maniera irripetibile. Come nella versione originale presente nel primo album della band, questo pezzo serve come intro alla seguente ”Time To Kill”, composizione molto legata al prog anni ’70, che ne racchiude tutte le caratteristiche salienti: tempi dispari, variazioni ritmiche e ampi spazi solisti, dove di nuovo Jobson imbraccia il violino.
Anche “Presto Vivace” e “In The Dead Of Night” fanno parte della track-list del primo album. La prima, di nuovo strumentale, è una dimostrazione di velocità in cui sono messe a dura prova le capacità di Bozzio e Jobson, la seconda fa parte delle composizioni più “commerciali” della band, con un ritornello di facile presa. Sentirla suonata dal vivo, senza la chitarra di Holdsworth, ma con lo stesso impatto e la stessa resa sonora stupisce veramente e viene da chiedersi con quante mani stia suonando Jobson.

A chiusura dell’album “Caesar’s Palace Blues”, un monumento alla versatilità del violino elettrico (e di chi lo suona, evidentemente) che viene pizzicato nella parte iniziale, imbracciato e suonato come fosse una chitarra subito dopo e infine suonato con l’archetto durante lo strepitoso assolo e nel finale. Il cantato viene sviluppato da Wetton su di un accompagnamento impossibile: bravo lui che riesce a stare a tempo. Nella conclusione grande spolvero di batteria con Bozzio che si scatena con la doppia cassa.

Un grande album che ogni amante del progressive dovrebbe avere in casa (magari anche i primi due) e tutt'oggi facilmente rintracciabile ad un prezzo ragionevole (se non andate sulle copie da collezione).

Consiglio inoltre il live postumo “Concert Classic Vol.4” uscito nel 1999 ma registrato nel 1978 con la formazione originale a quattro.


Un ringraziamento speciale ad Enrico Bernardelli, che nel 1980 per primo mi parlò degli U.K.





01. Night After Night
02. Rendez-Vous 6:02
03. Nothing To Lose 
04. As Long As You Want Me Here 
05. Alaska 
06. Time To Kill 
07. Presto Vivace  
08. In The Dead Of Night 
09. Caesar's Palace Blues 

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