Recensione a cura di Mario Munaretto
Probabilmente qualche veterano degli anni Ottanta se li ricorderà, i Paradox erano una delle promesse del thrash teutonico, appartenenti a quell’onda di second-comer, che fiorirono nella seconda metà della decade appena nominata, sulla scia dell’ormai iconica triade tedesca, ovvero Kreator, Sodom e Destruction. Dopo due buoni album, “Product Of Immagination” ed “Heresy”, i Paradox fanno perdere le loro tracce, invischiati in problemi di line-up e incomprensioni con la loro etichetta di allora.
Dopo una decina di anni, il fondatore Charly Steinhauer, voce e chitarra, decide di riattivare la band, insieme al chitarrista Kai Pasemann e ai fratelli Holzwarth alla sezione ritmica. Il frutto di questo nuovo inizio è un altro album dirompente, “Collision Course”. Purtroppo i casi della vita arrivano a colpire Steinhauer, che a causa di gravi problemi personali e di salute, rimette i Paradox in naftalina fino all’inizio del 2008, quando richiamato il fido Pasemann e con una nuova formazione, esce “Electrify”, seguito dopo un anno e mezzo dal nuovo album, “Riot Squad”.
Tratto tipico del sound dei Paradox è sempre stato l’approccio tecnicistico e melodico, che li ha portati a distinguersi dal classico thrash-metal tedesco degli inizi, approdando con il passare del tempo verso lidi techno thrash, esplorati anche dai conterranei Living Death, Mekong Delta e in parte dai Deathrow. “Riot Squad” mostra un perfetto equilibrio tra potenza e partiture melodiche, velocità e arrangiamenti moderni e più ragionati, come nel brano “Planet Terror” giusto per fare un esempio. Le tiratissime “Suburban Riot Squad” e “Hollow Peace” spianano la strada al tumulto sonoro dei Paradox, anche se, con tutta la buona volontà, Charly Steinhauer fatica veramente alla voce, che in alcuni passaggi è quasi coperta dagli altri strumenti. Ancora più potenti risultano “Evolution Reset” e “No Place To Survive” e la conclusiva “Psychofficial”, certamente il brano più violento dell’album.
Ottima intesa tra le chitarre, buon riffing, ritmiche precise e serrate, songwriting di qualità, ci sarebbero tutti gli ingredienti per fare di “Riot Squad” un ottimo album, ma manca la voce, o meglio manca un vero cantante, che sia in grado di esaltare e sottolineare le strutture melodiche dei diversi brani. Senza questo innesto fondamentale, i Paradox sono destinati a restare al palo con la loro proposta di nicchia e “Riot Squad” e i suoi successori, dei prodotti diretti solo ai fans della band.