The Pretty Things
Get the Picture

1965, Fontana
Rock

Recensione di Giovanni Capponcelli - Pubblicata in data: 17/12/09

Il 1965, “annus mirabilis” per i Pretty Things, si chiuse con la pubblicazione a dicembre del secondo LP del gruppo di Dartford. Dopo l’esordio con il botto (N° 6 in UK), May e soci si erano ormai costruiti una dubbia reputazione da terroristi dei bassifondi rock: barbe e capelli lunghi, atteggiamenti disinibiti, performance esplosive: addirittura contesero agli Who il primato dei primi distruttori di camere d’albergo. In qualche modo erano riusciti a scavalcare gli Stones sul loro terreno e a proporsi come il più trasgressivo “act” del periodo.

Da onesti  “working class heroes” quali erano, sui singoli che aprirono la strada a Get The Picture non fecero che amplificare l’assalto rock dell’esordio: "Get A Buzz" e soprattutto "Midnight To Six Man" mettevano in luce, uno, la scomposta teatralità del cantante, l’altro la graffiante dinamica blues di un Taylor veramente “on fire” nel riff e nell’assolo. A fare scandalo fu però un 45 giri pubblicato nell’Aprile 1966, risibile il motivo: il titolo della canzone "£SD"; la voluta assonanza con l’acido di nuova generazione bastò a censurare nelle radio un pezzo in realtà tanto ingenuo quanto innocuo, che viveva su un giro di chitarra reminescente degli Yardbirds, che solo 4 mesi prima avevano pescato il jolly con "Heart full of Soul".
 
Ben più impressionante era il lato B del disco: "Come See Me" è un assalto di rozza violenza e volume quasi esagerati per il 1966 con basso pulsante, ritmo serrato e chitarra distorta e deformata; prova ulteriore di come i Pretty Things non siano tanto progenitori del futuro sound Hard ma piuttosto dell’irascibile underground britannico di fine ’60 (Deviants, Pink Fairies, Third World War).  Già queste canzoni testimoniano comunque del piccolo cambio di direzione della band: aumentano i colori strumentali, la produzione si fa più accurata, i musicisti sono più disciplinati e affiancano alla matrice tutta blues dell’esordio altre suggestioni musicali. "In Get The Picture "inoltre il gruppo è aiutato da alcuni musicisti esterni, due su tutti: il formidabile pianista mercenario Nicky Hopkins e il giovanissimo Jimmy Page; è lui a firmare l’opener "You Don't Believe Me", con le chitarre scintillanti che i Byrds avevano fatto già fatto conoscere in Inghilterra. Non a caso, 9 anni dopo, sarà lo stesso Page, ormai assurto al ruolo di massima rockstar planetaria, a raccogliere i cocci degli esausti Pretty Things affinchè suonassero per la Swan Song. "Can't Stand The Pain", con tanto di slide hawaiane, è ancora più complessa per gli standard del gruppo, e comunque riesce azzeccata e coinvolgente. Come ammetterà poi lo stesso May, una certa influenza sull’album la ebbe la neonata scena Mod inglese, ispirata tra gli altri al soul di Redding e Burke; così si spiega la versione di "I Had A Dream" di Jimmy  Witherspoon, simile a quanto stavano facendo gli Animals dello stesso periodo; così si spiega anche "Rainin' In My Heart", risolta con la stessa sottile doppiezza del maestri Jagger e Jones.  Nonostante gli sforzi, il mercato americano resterà purtroppo per i Pretty Things zona off-limits: il gruppo non entrerà MAI in classifica oltreoceano.
Sul versante rockettaro e rollingstoniano sono da annoverare, manco a dirlo, le tracce migliori da "Buzz The Jerk" all’ottima "Get The Picture", entrambe a firma May/Taylor; da "We'll Play House", con feedback in apertura e ritmo alla Suzie Q, a "Gonna Find Me A Substitute". "London Town" al contrario è una traccia dal retrogusto quasi folk e dall’immaginario sonoro più dilatato e soft del solito: è una delle poche canzoni in cui la voce di May si mantiene ben controllata, addirittura con un inconsueto basso profilo.

L’album coincise con il periodo più felice per il gruppo: tanti singoli in classifica, tours eccitanti e pieni di elettricità (in tutti i sensi …), insomma, per un branco di ventenni esaltati, il sogno del Rock che si avvera. Purtroppo tanta eccitazione era solo l’inizio di un lungo periodo di mezzi insuccessi (qualcuno anche intero …), pur passando per dischi di buona levatura artistica. A posteriori, la scelta di abbracciare la musica psichedelica e progressiva fu un errore: May e Taylor erano rocker puri, non diversi da Richards o Townsend: ma se questi artisti riuscirono a crearsi una scrittura e un sound propri, i Pretty Things rimasero a metà del guado, inseguendo tendenze e nuove mode senza mai dare l’impressione si possederle del tutto. Ma bando alle critiche, perché il sound e la carica che ci ha lasciato questo gruppo è oggi parte dell’alfabeto stesso del Rock.






01. You Don't Believe Me  
02. Buzz the Jerk
03. Get the Picture?          
04. Can't Stand the Pain  
05. Rainin' in My Heart  
06. We'll Play House  
07. You'll Never Do It Baby  
08. I Had a Dream  
09. I Want Your Love  
10. London Town    
11. Cry to Me  
12. Gonna Find a Substitute  
13. Get a Buzz*  
14. Sittin' All Alone * 
15. Midnight to Six Man*  
16. Me Needing You*  
17. Come See Me*  
18. £.S.D.*



*Bonus Track

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