Isis
In The Absence Of Truth

2006, Ipecac
Sludge

Recensione di Federico Botti - Pubblicata in data: 04/01/10

Uscito nel 2006, “In The Absence Of Truth” dei bostoniani Isis, rappresenta un accenno di cambiamento di rotta nelle sonorità sino ad allora proposte dal gruppo. Al tipico suono al quale i nostri ci hanno abituato (soprattutto con “Panopticon”) si aggiungono ora elementi derivati direttamente dal post rock (a dirla tutta riscontrabili anche prima del presente lavoro, ma qui esplosi in maniera massiccia e prorompente).

Le strutture si fanno ora più circolari e stratificate, a tratti tribali (soprattutto nel drumming impiegato in certi momenti), con l’atmosfera generale che ondeggia (ma questo è un marchio di fabbrica degli Isis) tra l’etereo, il “celestiale” (per citare un loro stesso lavoro) e il plumbeo, tra l’arioso e il pantano tipicamente sludge. Il mood che si respira ascoltando il disco è in larga misura drammatico e teso, con chitarre liquide e suadenti che paiono circuire l’ascoltatore circondandolo di invisibili spirali che lo stritolano e lo attanagliano trascinandolo sempre più in basso, dove l’acqua si scontra con il fuoco e il cielo con la terra, dove gli elementi si fondono per generare un’alchimia sonora che a tratti ha davvero dell’incredibile; questa è la forza scaturita dalla band guidata da Aaron Turner. Che qui, al solito, mette in scena grande tecnica e maestria sia nell’uso della sei corde, sia nel cantato, alternando con eccezionale efficacia un growl rabbioso a una voce calda, pulita e malinconica.

Cosa segnalare in un disco praticamente perfetto? Il compito non è affatto facile, tutta la scaletta (eccezion fatta forse per due brani) è degna di nota, prestandosi a variazioni umorali e emozionali di ogni tipo. L’apice forse si raggiunge con “Holy Tears”, un’eccezionale prova di forza dei cinque, qui impegnati in un pezzo lento, titanico nella sua foga rabbiosa, rabbia comunque ben controllata e indirizzata grazie a strofe in clean ipnotiche e incisive come non mai, che culminano in un ritornello (se così lo si può definire) di incredibile pathos. Il tutto poi sfocia in una digressione strumentale cara, tra gli altri, anche a certi Pink Floyd (non dimenticandoci comunque, come anticipato a inizio recensione, dell’influenza che hanno le sonorità post rock in questo capitolo degli Isis). Tale parentesi strumentale crea un climax che si scioglie nella deflagrazione della stessa canzone, un’esplosione elettrica che non lascia superstiti. Notevoli comunque anche le tre tracce in apertura, “Wrist Of Kings”, “Not In Rivers, But In Drops” e “Dulcinea” (perfetti esempi di quando prima ho parlato di un uso “tribale” della sezione ritmica) e la finale, omnicomprensiva (in quanto a sfumature emozionali messe in gioco e stili impiegati), “Garden Of Light”.

Molti mettono sul trono della discografia degli Isis “Panopticon”. Nulla da obbiettare, ma per quello che mi riguarda i capolavori imprescindibili della band di Boston sono due, il sopraccitato e questo “In The Absence Of Truth”. Che, va detto, sono due creature diverse l’una dall’altra (forse più monolitico il primo e più dinamico questo), costituendo diverse sfaccettature di un suono complessivamente incredibilmente articolato e variegato, una nota positiva alla quale questi ragazzi ci hanno piacevolmente abituato.





01. Wrists of Kings

02. Not In Rivers, But In Drops

03. Dulcinea

04. Over Root and Thorn

05. 1,000 Shards

06. All Out of Time, All Into Space

07. Holy Tears

08. Firdous E Bareen

09. Garden of Light

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