Ok Go
Of The Blue Colour Of The Sky

2010, Virgin/EMI
Pop Rock

Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 03/02/10

Cosa stai ascoltando ultimamente?
Oh beh, sai…devo recensire l’ultimo album degli Ok Go…
Ok che!??!?
…quelli del video dei Tapirulans…
Ah! Loro, certo!

Ecco il tipico dialogo in cui chiunque di voi potrebbe rispecchiarsi parlando degli americani Ok Go (non avete idea di quante volte sia successo a me in questo periodo).
Il fatto di avere partorito questo video, vincitore dell’award come video più creativo di Youtube nel 2006, diventando un vero e proprio tormentone, ha fatto sì che la band fosse ricordata maggiormente per la sua capacità creativa e visuale, piuttosto che per quella musicale.

Si tenta di cambiare rotta con questo terzo album in studio, il cui titolo completo (preparate un respiro profondo) è: “The Influence of the Blue Ray of the Sunlight and of the Blue Color of the Sky”, ispirato ad un libro del 1876 che erroneamente promuoveva la teoria seconda la quale la luce blu sarebbe in grado di guarire tutte le malattie.
In effetti, psichedelia e senso vintage anni ’70 vanno fortemente a braccetto in questo album, così come una smaccata influenza di Prince (ascoltate l’iniziale, nonché primo singolo, “WTF”), il tutto condito da spruzzate di quello spirito vagamente indie rock cui la band ci aveva abituato che, sepolto da tonnellate di elettronica, a volte torna a fare capolino, così come la conclusione quasi progressive rock di “Needing/Getting”.

Sono canzoni insolitamente leggere per la band americana quelle contenute in questo disco, canzoni che riflettono perfettamente uno spirito finemente ed intelligentemente goliardico che traspare da ogni dove: sia che si tratti del celebre video di “Here It Goes Again”, sia che si tratti dei testi per il loro Myspace.
In questo senso, questa evoluzione musicale degli Ok Go mi ha ricordato un altro celebre gruppo del recente passato europeo: impossibile, difatti, non farsi venire alla mente i Pulp lungo l’ascolto di quest’opera, non con interpretazioni vocali ad opera di Damian Kulash così spudoratamente rubate a Jarvis Cocker (ascoltate “Back From Kathmandu” e la conclusiva “In The Glass”), non con questa fine ironia ed intelligenza comica profusa lungo le liriche, non con quel pezzo che rimanda inevitabilmente alla disco (2000) come “End Love”.

Laddove, tuttavia, i Pulp si sorreggevano magnificamente sulla figura carismatica di Jarvis Cocker, unendo ad una certa visualità anche un potente senso di musicalità, gli Ok Go paiono non convincere sino in fondo, in questo senso, e l’album pertanto risulta essere certamente godibile per chi apprezza le sonorità synth pop dal forte retrogusto funkeggiante dei gloriosi ‘70s, magari un po’ troppo dispersivo per tutti gli altri.
Certamente, l’obiettivo di scrivere canzoni che ronzino facilmente in testa, intento dichiarato da Kulash stesso, risulta centrato (basta l’ascolto della felicemente leggera “This Too Shall Pass”), tuttavia… non so, forse la chiave di volta risiede davvero nell’ispirazione dell’album: se ne siete davvero convinti, la luce blu potrà curare tutti i mali. In fondo, però, sappiamo benissimo che la luce blu non ha questo effetto... Anzi, personalmente, la trovo sempre piuttosto artificiosa.



01. WTF
02. This Too Shall Pass
03. All Is Not Lost
04. Needing/Getting
05. Skyscrapers
06. White Knuckles
07. I Want You So Bad I Can’t Breathe
08. End Love
09. Before The Earth Was Round
10. Last Leaf
11. Back From Kathmandu
12. While You Were Asleep
13. In The Glass

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