La prima impressione avuta da questo "A Red Stain" francamente è stata quella di essere di fronte ad un opera di scarso spessore. Un piccolo meccanismo ottimizzato per far girare gli ingranaggi di giovani teenagers privi di cultura musicale e dalla sensibilità forte ma non certo affinata. Le prime note suonano un po’ imprecise, seppure accattivanti. “Faith” pezzo d’apertura del cd ha un tono marcatamente post-grunge. La scelta dei suoni cosi come il cantato duro che prova a tenersi su registri scuri ed emotivi non lasciano molti dubbi sul genere di riferimento. L’inizio è buono, orecchiabile anche se non convince completamente. “Where To Go” parte con chitarre ai limiti del punk ma la voce arriva quasi subito a smentire la prima impressione. Le prime strofe sembrano prese in prestito da Undertow dei più che blasonati Tool.
Un nuovo cambiamento ci aspetta dietro l’angolo con un ritornello facile fino alla faciloneria. Il pezzo cambia continuamente forma senza mai prenderne una definita. “We Sell The World” manca gravemente di carattere, non emerge e non decolla. “Damned Files” ritrova la vaga vena Tool fusa ad una indiscutibile attitudine punk, il pezzo funziona piuttosto bene facendo dono di un buon carico emotivo e una discreta prestazione tecnica. “Last Sentence” è forse il momento meno riuscito del disco, si fatica ad arrivare in fondo e a trovare una ragione per provarci. “My Magdalene”, invece, ci restituisce un altro passaggio pregevole, un po’ melenso ai palati più duri ma indubbiamente valido. Qui il post-grunge è talmente predominante da dimenticarsi che a suonare è una band friulana e non di Seattle o dintorni. “All My Friends Are Gone” scende nuovamente di livello e presa. Proseguendo nell’ascolto gli alti e bassi si susseguono con precisione immutata, tanto dare l’impressione che sia stato fatto di proposito un lavoro per alternare i momenti migliori ai peggiori del disco.
Al termine del primo ascolto bisogna però ammettere che la prima impressione era decisamente peggiore di quanto l’Lp di fatto potesse meritare.
I difetti non mancano. La produzione non è delle migliori con suoni poveri e un mixaggio che non valorizza certo il lavoro dei ragazzi friulani. Se la prestazione tecnica dei Jar of Bones è più che apprezzabile dal punto di vista strumentale, la voce non convince altrettanto soprattutto nei passaggi che richiederebbero una maggiore padronanza dell’appoggio e un filo di controllo in più delle note più alte. "A Red Stain" suona come un’opera giovanile, in barba all’esperienza fatta dai Jar of Bones in anni di palchi in giro per l’Italia. Non si tratta necessariamente ne di un pregio ne di un difetto, ma è indubbio che sia una delle impronte che maggiormente segnano questa primo Lp della band.
Nel complesso si tratta comunque di un lavoro sanguigno, a tratti impreciso, magari un po’ grezzo ma senza alcun dubbio di quelli fatti con passione. Se quello che cercate è un disco pulito, dai sapori complessi e ricercati allora passate oltre senza remore, ma se al contrario volete ascoltare un buon esempio di post-grunge dai sapori semplici e freschi allora siete sulla buona strada.
I Jar of Bones hanno ancora molto lavoro da fare, prima di tutto per trovare una loro identità musicale. A Red Stain segna l’inizio di un percorso artistico che potrebbe rivelarsi interessante, a patto che i nostri decidano qual è la strada che desiderano seguire.