Overkill
Ironbound

2010, Nuclear Blast
Thrash

Rispolverato il sound degli Overkill di trent'anni fa: successo annunciato?
Recensione di Marco Ferrari - Pubblicata in data: 23/02/10

Quando si parla delle origini del thrash metal troppo spesso ci si dimentica dell’importanza del movimento che si è sviluppato sulla costa orientale statunitense. Questa non vuole assolutamente essere una critica, ma è indubbio che se pensiamo alla scena nei primi anni ’80 la cartolina che viene alla mente è senza alcun dubbio legata alla baia si San Francisco. Inutile negare come in quel periodo lo stato californiano sia stato un'incredibile fucina di idee e di band di successo su entrambi gli estremi (per l’epoca) del metal. Se a sud vigeva la legge dei capelli cotonati e delle pailettes, più a nord la bay area stava diventando la più famosa roccaforte mondiale del thrash metal. E’ indubbio che band come Metallica, Slayer, Megadeth ed Exodus abbiano influenzato generazioni di musicisti, ma ora mi si impone di farvi una domanda: cosa sarebbe stato e cosa sarebbe diventato il thrash metal se dall’altra parte del continente americano non vi fossero state band come gli Overkill e Anthrax? La risposta probabilmente non è facile da dare e da argomentare e potrebbe distogliere dall’obbiettivo della recensione, ma fatto sta che band come gli Overkill rappresentano uno dei piloni portanti del genere.


Come spesso mi succede, ho lasciato che parlasse più il cuore della mente, ma la mia lunga introduzione risulta funzionale nel momento in cui proviamo a mettere "Ironbound" nel lettore. Gli appassionati della band riconosceranno immediatamente un sound che sembrava quasi dimenticato nelle nebbie del tempo e rispolverato da Bobby Ellsworth e soci in occasione del trentesimo compleanno della band americana.

Il disco si ricollega alle sonorità dei primi anni della band, grazie alla sua aggressività ed alla sua miscela musicale di punk ed heavy metal, il tutto però prodotto come solo la moderna tecnologia può permettere. Il sound risulta quindi molto potente e perfettamente adatto ad enfatizzare le brucianti accelerazioni della band che, sicuramente, non mancheranno di mandare in estasi i fan in sede live. L’opener “The Green and Black”è un perfetto esempio di grande perizia nello sfruttare le variazioni ritmiche e, seppur risulti eccessivamente lunga, trasmette ottime sensazioni. Personalmente preferisco brani maggiormente diretti e meno articolati come la successiva title track, ma non si può certo bocciare la tendenza a rompere gli schemi che ha da sempre contraddistinto gli Overkill. Si può (e si deve) invece sottolineare come gli arrangiamenti e la grande esperienza dei musicisti abbiano permesso la realizzazione di un disco piacevole nel quale però il “mestiere” tende spesso a prendere il posto dell’ispirazione. Dopo l’inizio più che buono l’album infatti tende a perdere di freschezza compositiva e non nascondo che alcuni brani siano ridondanti, ma se non altro vengono tenuti insieme da una compattezza e da un gusto per gli arrangiamenti di grande valore.


Un disco che di certo è lontano dai migliori episodi discografici della band, ma che potrà fare sia la felicità dei fan di vecchia data che da interessante apripista per i neofiti.





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