Non è per niente facile commentare un disco dei Giant se già a priori sai che non troverai da nessuna parte la firma di una figura portante come quella di Dann Huff, mente e braccio che ha reso celebri i melodic rockers di Nashville (Tenessee, Stati Uniti). Si parte dunque con un handicap sì rilevante ma nel complesso non determinante, perché "Promise Land", il nuovo album, è luminoso ed intenso quanto basta per considerarlo degno successore di “III” (2001) e tassello più che accettabile di una discografia capeggiata dai due storici “Last Of The Runaways” (1989) e “Time To Burn” (1992).
La forza dei Giant è sempre stata quella della melodia, spesso e volentieri romantica, e le aspettative riposte sul tratteggio artistico di Promise Land sono state ragionevolmente rispettate. Si tratta di una collezione di canzoni ispirate nelle quali si distingue Terry Brock per l’ottimo lavoro al microfono, le linee vocali infatti ben si adattano alla delicatezza del comparto sonoro indurito dalla costante presenza della chitarra elettrica di John Roth, altro punto fermo e baricentro del disco.
Nonostante la pesante assenza di Dann Huff, va detto che rimane intatta la capacità dei Giant di scrivere brani di qualità, pezzi melodiosi che non si schiodano dal cervello già dopo i primi ascolti, e più nello specifico parlo della title track, di “Never Surrender”, di “Prisoner Of Love” e delle splendide ballate a contorno. Tredici canzoni, insomma, che confermano tutte le capacità del gruppo americano ma che vanno valutate per quello che sono senza farsi oltremodo influenzare dal nome impresso sulla copertina: brani accattivanti che si faranno ascoltare anche sulla lunga distanza, ma che difficilmente acquisiranno il valore storico dei loro predecessori.