In un periodo in cui anche l’industrial pare quasi non sfuggire all’ondata EMOzionale che coinvolge il panorama musicale degli ultimi anni, fa piacere vedere all’opera formazioni come i fiorentini Interferenze che, piuttosto che dirottare la loro elettronica verso morbide melodie romantiche, parlano sì d’amore, ma con una virata potente verso il noise. “V 1.1 + V 1.2”, come suggerisce il titolo stesso, arriva come un doppio album che ci offre canzoni in italiano nel primo disco, mentre la “V 1.2” presenta canzoni in inglese.
La musica proposta da questo duo ricorda i primi Subsonica (“Indelebile” – un titolo che Samuel avrebbe utilizzato anch’egli tranquillamente – ed il capolavoro “Moto Perpetuo”, molto rock nello spirito), piuttosto che la corrosività acida degli Atari Teenage Riot, tuttavia meno casinista e socialmente polemica (“Demone”, l’apertura de “La Resurrezione”). Come già detto, a livello lirico ci troviamo di fronte principalmente ad un lavoro che riflette sui sentimenti; tuttavia, anche qui, non è la parte “buona” dell’amore ad essere sviscerata, piuttosto il suo versante malato, ossessivo e deliziosamente distruttivo (“Mi sveglio la mattina / Il vuoto tra le gambe / La testa mia che ride / Non è tanto male la tua pelle da succhiare e da tradire” sono queste le parole che vi saluteranno quando farete “play” sul vostro lettore, all’apertura di “V 1.1”). Su tutto, aleggia, appunto, questo vago aroma anarchico che ricorda molto da vicino l’attitudine punk, specialmente per l’intonazione scelta per la maggior parte delle canzoni da parte di Giacomo Salani.
Il problema degli Interferenze è che, pur essendo una formazione interessante, producono una musica che è forse fin troppo auto-referenzialista, tanto che dopo il break strumentale di “Indivisibile”, l’unica canzone nuovamente interessante risulta essere la cover di “Immigrant Song” dei Led Zeppelin (sempre apprezzabile in tutte le salse e forme con cui innumerevoli formazioni ce l’hanno proposta in tutti questi anni, non tanto per la bravura delle band in sé, quanto per l’assoluta magnificenza della canzone originale).
Come risultato, questo doppio album risulta davvero godibile per gli amanti dell’industrial rock più sporco e meno elegante; tutti gli altri faticheranno non poco ad arrivare in fondo all’opera, ed è un peccato, poiché questa formazione mostra decisamente del potenziale. Vedremo come andrà col prossimo parto discografico, per ora mi sento di consigliare questi cd, peraltro con non poche riserve, soltanto ad una ristretta nicchia di ascoltatori, e mi riferisco a quelli a cui è arrivato un brivido di piacere nel leggere, poco sopra, Atari Teenage Riot e “primi Subsonica”.