Svartsot
Mulmets Viser

2010, Napalm Records
Folk Metal

Recensione di Davide Panzeri - Pubblicata in data: 26/03/10

“L’oscurità cala ed un altro giorno di duro lavoro giunge al termine. I tavoli sono stracolmi di cibo e i corni sono pieni di birra artigianale. Si comincia a raccontare leggende e a recitare versi poetici; racconti di impavidi guerrieri e nobili re, di grandi imprese e di battaglie duramente vinte, canti di vita e di morte, di ubriachezza e di festeggiamenti, ballate di prosperose fanciulle e camerieri lascivi, di miti e di esseri mitologici che tramano a favore delle forze del male. Le storie dei bardi continueranno ad essere raccontate fino a quando tutti non saranno ubriachi più del dovuto”

Così si presenta il nuovo album dei danesi Svartsot, gruppo che va a infoltire il filone Folk Metal ormai quasi pronto a traboccare dal famoso vaso. Nascono nel 2005 a Randers, fautori di un mix tra metal e musica folk, accompagnato da ruggiti a squarciagola in lingua madre; un solido compromesso utilizzato in modo tale da poter divulgare i racconti mitologici, storici e folcloristici danesi in tutto il mondo. Da subito si nota la presenza principale, costante ed esuberante del flauto, a cui è accostata tutta un’altra cerchia di strumenti folk che però sono relegati in secondo piano. Il loro primo album “Ravnenes Saga” , che arriva dopo due demo,  giunge sul mercato nel 2007 passando tutto sommato in sordina nonostante i moltissimi pareri positivi da parte della stampa specializzata.

Tra cambi di Line-up e brevi sortite live, i vichinghi danesi ci consegnano sugli scudi questo “Mulmets Viser” che segue a tutti gli effetti in ambito musicale, lirico e tematico il debut album. Anche qui troviamo l’onnipresente flauto a farla da padrone, conducendoci per mano tra balli attorno al fuoco e feste silvane, a cui fanno capolino ogni tanto mandolini e fisarmoniche suonati egregiamente dal signor Hans-Jørgen Martinus Hansen. La parte vocale, a cura di Thor Bager, è graffiante e secca, fulgido contrasto con la soave melodia dello strumento a fiato. La chitarre ruggiscono e impazziscono qua e là, mentre basso e batteria eseguono senza infamia e senza lode il loro mestiere.


C’è da dire che, come spesso accade anche a molti altri gruppi, le canzoni a lungo termine tendono a diventare noiosette e ripetitive. Se con il brano apertura ci esaltiamo immediatamente, il lento incedere dell’album ci riporta pian piano coi piedi per terra. La struttura musicale è molto semplicistica ed immediata, il flauto/mandolino/fisarmonica ci cattura immediatamente col suo motivetto danzereccio e festaiolo, la ritmica di chitarra lo segue come un pulcino segue mamma oca e la batteria ci mette del suo per rendere più accattivante il brano. Le tematiche proposte sono alla fin fine sempre le stesse: alcolismo vario, feste, eroi, guerre, mostri e un pizzico di storia danese. Di sicuro il testo in lingua madre è sì più genuino e caratterizzante, ma di sicuro non aiuta l’ascoltatore ad immergersi nella musica.

Come detto in precedenza, l’ascolto dell’intero album di fila risulta non appagante e tende a deconcentrare l’ascoltatore. Se ne consiglia l’ascolto a piccole dosi e ad intervalli non regolari in modo da poterne apprezzare appieno il fattore folkloristico.





01. Aethelred
02. Lokkevisen
03. Havfruens Kvad
04. Hojen Pa Gloedende Paele
05. Paa Odden Af Hans Hedenske Svaerd
06. Laster Og Tarv
07. Den Svarte Sot
08. Kromandes Datter
09. Grendel
10. Jagten
11. Lindisfarne
12. I Salens Varme Gloed

Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool