È importante sottolineare che questo non è per nulla un album immediato e diretto, ma che, al contrario, necessita di svariati ascolti prima di essere assimilato. Una delle sue caratteristiche fondamentali è la lunghezza: ben quattro brani su sette vanno oltre i dieci minuti di durata, mentre altri due brani superano gli otto minuti, e la restante traccia si aggira sui due minuti. Ad essa si aggiunge una spiccata eterogeneità a livello musicale: nel disco vengono proposti momenti che spaziano dal jazz, al rock psichedelico tanto in voga negli anni '60, al progressive metal più aggressivo dei Dream Theater, per arrivare al progressive rock più d'atmosfera degli osannati Porcupine Tree, pur non scadendo, come negli originali, in un'eccessiva lentezza e prolissità (vedi il recente "The Incident"). Si fa notare inoltre un tocco di musica etnica, dalle melodie spagnoleggianti, nei brani "Is This Devil From Spain?" e "Is That Devil From Spain Too?".
Analizzare brano per brano "Uninvited Dreams" sarebbe un po' folle, oltre che difficile, data la complessità dei brani, che sono molto più godibili nel loro complesso. Oltretutto, questi lasciano la stessa sensazione che si prova dopo essersi svegliati dopo un lungo sogno intricato: non se ne ricordano i dettagli, ma rimane impressa l'atmosfera complessiva. Ed ecco allora che qua è là appaiono voci femminili (ad opera di Natalia Krakowiak) nella title-track "Uninvited Dreams", cupi e lunghi assoli di chitarra accompagnano la fine di "Childmare (A Goodnight Story)", ben lungi dall'essere una favola della buonanotte rassicurante, con quel deciso "You are dead" al termine della parte cantata. Gli incubi, rappresentati da decisi arpeggi di chitarra acustica, di "Is This Devil From Spain?", sembrano ricalcare l'acquaforte del pittore Francisco Goya, "El sueño de la razón produce monstruos". Infine, sporadici mellotron e Hammond accompagnano la lenta ed eterea "Neverending Dream", dai suoni ed atmosfere ovattati e distanti anni luce da noi, quasi si trovassero in un'altra dimensione.
Arrivati alla fine del sogno, occorre però sottolineare un difetto veramente fastidioso che pregiudica il risultato finale del lavoro degli Osada Vida: la batteria decisamente monotona, quindi alla lunga irritante. Benché ci siano accenni a qualche cambio di tempo, a qualche soluzione un po' meno prevedibile, la staticità dello strumento rende più faticoso l'ascolto. Inoltre, data la considerevole lunghezza della maggior parte dei brani, un po' di ripetitività è veramente inevitabile, ma non è in nessun modo un difetto grave o compromettente.
Tuttavia, forti di una produzione molto buona, a cura di Marcin Chlebowski, gli Osada Vida offrono un lavoro interessante e coinvolgente, complesso, ma non frammentario o dispersivo, adatto per essere ascoltato in questi pomeriggi piovosi di primavera.