Arrivano alla soglia del secondo album gli americani Doomriders, super gruppo proveniente dallo stato del Massachusetts e comprendente la crema della scena hardcore anni novanta.
Del resto da ex membri di Converge, Cave In, Disappearer e Cast Iron Hike (indimenticabili padri di “Watch it Burn”) non ci si poteva aspettare un fallimento e, rielaborando il loro mix horror core e stoner metal, fanno un notevole passo in avanti dall’ormai impolverato “Black thunder” (2005). “Darkness Come Alive”, prodotto dalle sapienti mani di Kurt Ballou, è il perfetto mix tra l’irruenza punk dei Misfits, il primo roccioso Danzig e il doom metal degli Old Man Gloom.
Nessun calo d’attenzione, nessuna sbandata, i nostri riescono ad abbracciare candidamente i due mondi, quello del metal e del punk, senza sforare nel pacchiano metal core in auge negli ultimi anni, avvicinandosi moltissimo alle canzoni meno “Crack the skye” e più “Leviathan” dei Mastodon (“Fade from black”), come nell’hardcore anfetaminico e di razza dei già citati Misfits (“Come alive”).
Quando il quartetto parte a rotta di collo, come nel bombardamento ritmico messo in atto da JR Conners (batteria) e Jebb Riley (basso e voce) nel bel trittico “Knife wound”, “Mercy” e “Bloodsuckers”, la somiglianza ai Sick of It All è più di un’influenza (tra l’altro impressionante è la vicinanza del timbro vocale di Jebb a quello di Lou Koller). Ancora manca la personalità dei Baroness o dei Kylesa, ma i Doomriders hanno tutte le carte in regola per diventare grandi.
Boston calling.
Doomriders
Darkness Come Alive
2009, Deathwish
Stoner