Triptykon
Eparistera Daimones

2010, Prowling Death Records
Doom

Torna Tom Gabriel Warrior e l'oscurità è di nuovo tra noi
Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 13/04/10

In principio furono gli Hellhammer, poi arrivarono i Celtic Frost, ora è il turno dei Triptykon. Si chiude così nel 2010 un triangolo che segna il confine della musica estrema partorita dagli anni ottanta ad oggi. Un unico filo conduttore: Thomas Gabriel “Warrior” Fischer, geniale musicista svizzero che con la sua opera ha dettato non solo l'inizio del metal estremo, ma ne ha anche configurato l'evoluzione avanguardistica, manco a dirlo, in anticipo di anni rispetto a tutti.

Avevamo lasciato il buon Warrior con l'ultima fatica targata Celtic Frost, quel “Monotheist” che ha dato nuovo lustro alla band, un ritorno magistrale dopo ben sedici anni di silenzio, ridando dignità a un monicker dopo un paio di dischi da dimenticare, rinnegati persino dallo stesso Fisher. Un monolite nero di immane pesantezza in grado di fugare ogni dubbio, uno di quei lavori con cui tutti i fautori dell'estremo avrebbero dovuto fare i conti. Degno successore di “Monotheist” è il nuovissimo “Eparistera Daimones”, da cui sembra trarne le linee guida, in una continuità stilistica che in questo nuovo parto appare più ragionata, meglio rifinita sotto tutti gli aspetti.

Un disco che stilla rabbia e oscurità da ogni solco, un magma sonoro in cui tutti gli aspetti del metal estremo vengono fusi senza che si possano definirne i confini. Una proprietà che solo pochissimi fuoriclasse possiedono, quella capacità di donare il proprio tocco personale ad ogni passaggio, che siano pachidermici riff sepolcrali o suggestive distese di pianoforte e voce femminile, sfuriate black/thrash o distorsioni dal vago sentore drone. Una colata di cattiveria dettata dal tono declamatorio di Fisher, mai così suggestivo e annichilente, lontano dalle esagerazioni moderne, talmente intenso da far venire la pelle d'oca.

Settantadue minuti di musica che stanno già facendo storia del metal moderno, come fu per i vari “To Mega Therion”, “Into the Pandemonium”o “Monotheist”. C'era quello che veniva prima, poi arrivava Fisher e niente sarebbe stato lo stesso. Con le debite proporzioni “Eparistera Daimones” è destinato a compiere lo stesso ruolo di spartiacque dei giorni nostri, talmente è sublime l'arte nera inserita in questi brani, uno di quei lavori magnetici che lasciano interdetti al primo ascolto, ma che attirano sempre più come un gigantesco buco nero, fino a quando è impossibile poi farne a meno. Quello che più stupisce è la facilità con cui trascorrono i minuti, nonostante l'enorme pesantezza della proposta e la disarmante semplicità delle strutture; si buttano giù macigni come “Goetia” (undici minuti) o “The Prolonging” (venti minuti, un mini album nell'album) senza quasi accorgersene, rapiti dalla maestria dei Triptykon si saper riempire ogni vuoto, dando anzi nuova linfa per il prosieguo dell'ascolto con cambi di ritmo da manuale, scanditi dai mitici “uh!” gutturali di Warrior.

Poco importa se “Eparistera Daimones” avrebbe dovuto uscire sotto il nome Celtic Frost, improvvisamente sciolti per dissidi interni dopo un ritorno pauroso. Anzi, basta leggersi i testi per capire che la rabbia accumulata dal buon Fisher deve aver dato una marcia in più alla nascita dei Triptykon, un gruppo di eccellenti musicisti guidati da un autentico genio. Un disco che segna i nostri giorni e che è destinato a fare storia, impreziosito da una produzione ai vertici della categoria e da un artwork ad opera di H.R. Giger (il creatore di Alien) da lasciare a bocca aperta. Torna Tom Gabriel Warrior e l'oscurità è di nuovo tra noi.



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