Pink Floyd
A Momentary Lapse Of Reason

1987, EMI
Rock

Recensione di Luca Ciuti - Pubblicata in data: 15/02/16

C'è sempre un prima e un dopo nella carriera di una band. Per  i Pink Floyd tale spartiacque viene senza dubbio a coincidere l'abbandono di Roger Waters. Fino a "The Final Cut", apice della deriva solitaria di Waters, la band inglese si era evoluta disco dopo disco seguendo il naturale evolversi degli eventi, ma la fase che ne scaturì successivamente è da considerarsi tutta un'altra faccenda. La psichedelia e le pietre miliari, la svolta di "The Dark Side Of Th Moon", Syd Barrett, Pompei e "The Wall", dimenticate tutto (si fa per dire) e lasciatelo alla storia. Da una tormentata battaglia legale scaturita fra il bassista e gli ex compagni per i diritti sul nome Pink Floyd ne uscirono vincitori questi ultimi, Gilmour in particolare, ed è in questo contesto che va inserito il ritorno sulle scene del 1987: che si scrive "A Momentary Lapse Of Reason", ma si legge in altre parole come la semplice e riuscita riproposizione del mito.
 
Se l'obbiettivo era scrivere nuove, rivoluzionarie pagine di rock contemporaneo, allora il disco è da considerare un mezzo fallimento, ma se lo scopo era invece rispolverare e attualizzare il monicker agli occhi delle coloratissime generazioni eighties, la missione è da ritenersi col senno di poi decisamente compiuta. I Pink Floyd irrompono negli anni '80 con un linguaggio quanto più consono ai tempi, consapevoli di non dovere dimostrare niente in quanto a capacità di ampliare gli orizzonti sonori del rock. Irrompe nel sound degli inglesi l'elettronica, non quella un po'posticcia degli anni '80, quella fatta di sontuose tastiere, loop  e sequenzer che costruiranno la materia prima per sontuose architravi strumentali di derivazione ambient. E poi innesti di sax, chitarre acustiche, vocoder, un mare di elementi filtrati secondo i dettami del loro stile. E' un salto in avanti notevole rispetto al rock asciutto di "The Final Cut", un sound pomposo e studiato nei minimi particolari, forse persino più che in passato. Perché quando non anticipano i tempi, i Pink Floyd sanno stare comunque al passo. L'introduttiva "Signs Of Life" sembra messa lì ad arte per solleticare il pubblico della prima ora fra rumori di ambiente e le consuete frizzanti note della chitarra di Gilmour. Il prezzo da pagare porta i titoli di "Learning To Fly" e "One Slip", anche se nel primo caso un certa classe riesce comunque ad affiorare. "Dogs Of War" e "Yet Another Movie" sono due monoliti che vibrano soltanto quando sale in scena il chitarrista. A livello di testi il confronto fra la penna di Gilmour e quella di Waters è impietoso  e non vale neppure la pena affrontarlo. Gilmour si riscatta con "On The Turning Away" una di quelle torch song che gli escono dannatamente bene, e con la conclusiva "Sorrow", suggestiva maratona chitarristica che si guadagnerà il posto fisso in sede live.

Disco controverso e successo planetario, nessuno poteva nutrire dubbi a riguardo. Nell'arco di tre anni la band si imbarcherà in un tour colossale che passerà per ben due volte dall'Italia (persino in location per l'epoca inusuali come l'autodromo di Monza, gli stadi di Cava de'Tirreni e Livorno, oltre al chiacchieratissimo concerto in Piazza S.Marco a Venezia), contribuendo a rinnovare il mito in un momento cruciale della storia, fra muri che crollavano e i primi vagiti di rivoluzione tecnologica. La fine della storia consegna i Pink Floyd all'eternità col minimo sforzo: "A Momentary Lapse Of Reason" è un disco poco amato, criticato, persino ignorato da tanti fans, ma è pur sempre un disco dei Pink Floyd e in quanto tale resta, a suo modo, una lezione di stile. Come si fa a non amarlo, al pari degli altri?




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