Danzig
Black Laden Crown

2017, AFM Records
Heavy Metal

Recensione di Stefano Torretta - Pubblicata in data: 23/05/17

Vi siete mai chiesti quale sia il labile confine che corre tra un album volutamente lo-fi ed uno invece prodotto in modo svogliato e con pochi mezzi? Se vi è effettivamente capitato di porvi questa domanda, ma non siete mai riusciti a giungere ad una effettiva soluzione, “Black Laden Crown”, undicesima realizzazione in studio di Danzig, è la risposta perfetta.

Che lo conosciate per il passato nei Misfits o per i tre/quattro ottimi album sfornati a proprio nome tra il 1988 ed il 1994, è innegabile che Glenn Danzig sia una icona di un certo tipo di horror metal, con una carriera quarantennale alle spalle. Ma tutte le stelle prima o poi smettono di brillare e le icone crollano miseramente a pezzi. Fortunatamente questo non è ancora il caso concreto di Danzig, ma molti segnali iniziano a farci capire che ci troviamo in una fase di declino. Già con il precedente album, quel “Skeletons” che metteva in mostra dieci cover rilette con lo stile della band del New Jersey, l’ascoltatore si è trovato di fronte ad un disco realizzato con una produzione da cantina, da jam session improvvisata tra quattro amici. Se in quel caso l’atmosfera grezza poteva avere un suo perché, nell’ottica dell’omaggio schietto e non mediato dalla ripulitura delle produzioni perfettine e luccicanti, con “Black Laden Crown” questa scusa/motivazione non vale più. Sarà anche colpa dell’aver registrato lungo un ampio arco di tempo, ma ogni singolo brano sembra un discorso a sé, con la sua produzione – a tratti imbarazzante - e con la sua lineup.

Se in quanto a produzione l’album non brilla, per quanto riguarda la scrittura dei brani si rivela di poco migliore. Le singole tracce spesso annegano nell’incertezza. L’iniziale title-track parte bene, immergendoci fin da subito nel fetido fango di una nenia doom, ma a causa di un eccessivo minutaggio perde una propria direzione e rimane invischiata in quel fango da cui era ottimamente nata, senza più sapere cosa fare. “Blackness Falls” subisce la stessa sorte, tirando per le lunghe un brano che avrebbe sicuramente colpito di più in una forma più succinta. “Eyes Ripping Fire” sembra perdersi in una ripetizione monocorde e fiacca. Non mancano comunque spunti interessanti, come “Last Ride”, “The Witching Hour” o “But A Nightmare”, ma visto quanto fatto in passato, anche solo recente, senza dover andare a scomodare i classici, è ben poca cosa. “Deth Red Sabaoth” aveva fatto vedere degli interessanti sprazzi di ritorno al passato, ma con “Black Laden Crown” viene tutto vanificato.

Ultimo punto dolente, la lineup. Tommy Victor (Prong, ex Ministry), oltre a suonare la chitarra si sobbarca anche il compito di incidere e linee di basso, tanto che Steve Zing verrà sfruttato solamente in fase di esibizioni live. Nonostante un’ottima tecnica ed esperienza, riesce a salvare ben poco i pezzi presenti sull’album. Alla batteria troviamo un avvicendamento di diversi musicisti, da Johnny Kelly (ex Type O Negative, ex Black Label Society) a Joey Castillo (ex Queens of the Stone Age), da Karl Rockfist (ex Steel Prophet) a Dirk Verbeuren (Megadeth, ex Soilwork) che non aiuta di certo a dare uniformità ad una scaletta già di per sé frammentata. A chiudere il lotto naturalmente abbiamo Glenn Danzig, che a 61 anni d’età si trova in una fase calante. L’esperienza sovviene dove il fisico non ce la fa più, mettendo in scaletta canzoni dalla velocità più contenuta, esibendosi in prestazioni più declamatorie che cantate, di morrisoniana memoria. Purtroppo la pessima produzione anche in questo caso riesce a combinare guai, mettendo spesso in primo piano la voce, coprendo così gli strumenti, o mettendola molto in secondo piano, perdendola sul fondo, mancando quasi costantemente quella via di mezzo che invece avrebbe giovato.

“Black Laden Crown” non è il miglior disco di Danzig. Presenta molti difetti che mettono in ombra i pochi punti interessanti. Rimane, a prescindere, un interessante documento che ci mostra un uomo, un artista, che non vuole lasciarsi vincere dallo scorrere del tempo. Farà la felicità del fan accanito, ma l’ascoltatore casuale potrebbe non degnarlo di più di un ascolto.



01. Black Laden Crown
02. Eyes Ripping Fire
03. Devil On Hwy 9
04. Last Ride
05. The Witching Hour
06. But A Nightmare
07. Skulls & Daisies
08. Blackness Falls
09. Pull The Sun

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