Evergrey
The Atlantic

2019, AFM Records
Progressive Metal

Recensione di Stefano Torretta - Pubblicata in data: 23/01/19

Gli Evergrey sono stati una delle più grandi rivelazioni in campo prog sul finire dello scorso secolo. Tra la fine degli anni ’90 e la prima metà dei 2000 erano riusciti a dare alle stampe una serie di ottimi album, per poi perdersi in prodotti senza mordente. L’uscita di “The Atlantic” in questo inizio di 2019 è un ritorno agli antichi fasti grazie ad una ritrovata ispirazione. Che questo nuovo ottimo parto creativo ad opera del cantante Tom S. Englund sia arrivato in concomitanza con la sua partecipazione in qualità di nuova voce principale all’interno dei Redemption – il loro “Long Night's Journey Into Day” dello scorso anno è un album da che riesce a catturare l’attenzione dell’ascoltatore dall’inizio alla fine – non è di certo un caso.

Il tempo passato con gli statunitensi ha solo giovato alla vena compositiva di Englund e l’undicesimo album in carriera degli Evergrey è un concentrato di violenza e di depressione. Fin dalle prime linee di cantato di “A Silent Arc” Englund si mostra nuovamente coinvolto dalla sua prestazione come non avveniva da diversi dischi a questa parte. Anche sotto l’aspetto musicale il brano di apertura conquista fin da subito: riff taglienti ed una sezione ritmica a dir poco terremotante che danno vita ad una progressione lunga poco meno di otto minuti nella migliore tradizione prog. Le atmosfere tanto care alla band svedese ci sono tutte e vengono mantenute anche nelle successive nove tracce. Ottimamente riassunto da una copertina ispirata e molto coinvolgente, “The Atlantic” è un concept album che narra magistralmente la dualità dell’elemento acqua: portatore di vita ma anche di morte, perennemente presente nelle nostre vite in questa duplice veste.

 

Argomento più congeniale alla band non poteva essere trovato: all’interno di un universo musicale cupo e violento come mai prima nella discografia del combo, le dieci composizioni si sviluppano senza dare tregua all’ascoltatore, privilegiando più l’aspetto musicale che quello vocale. Una piacevole novità rispetto agli album più recenti degli svedesi. Questa visione dà vita ad una maggiore stratificazione e complessità dei brani, portando la componente prog ad un livello qualitativo sicuramente in linea con gli stardard fissati dalle prime produzioni degli Evergrey. La progressione della prima metà dell’album è innegabile: “Weightless” si sviluppa con maggiore delicatezza, abbandonando in parte la nuda ferocia della traccia d’apertura; “All I Have” è la classica ballad del combo che dà sfoggio di alcuni assoli molto coinvolgenti; “A Secret Atlantis” dà una strizzata d’occhio ad uno dei capisaldi della band, ovvero “The Inner Circle”. “The Tidal” è un intermezzo strumentale che pone ulteriormente l’accento sul mood crepuscolare e maliconico dell’album; ma è “End Of Silence” che chiude la progressione e conquista l’ascoltatore mettendo in scena l’antagonismo tra il cantato e la chitarra di Englund e le tastiere di Rikard Zander. Cinque minuti di coinvolgenti e struggenti melodie prog rock di stampo classico. Gli ultimi quattro brani non deludono ugualmente - “Departure” su tutti -, mantenendo la tensione sempre ad alti livelli.

Il ritorno degli Evergrey con “The Atlantic” è una piacevole sorpresa. Dopo oltre un decennio che non ha reso affatto merito all’inventiva ed alla bravura di Englund e soci finalmente si riesce a tornare ai fasti del passato ma senza dover necessariamente copiare pedissequamente i capolavori di inizio carriera. Speriamo che l’ispirazione regga e che questo non sia solo un fuoco di paglia.





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