Heidevolk
Vuur Van Verzet

2018, Napalm Records
Folk Metal

Recensione di Stefano Torretta - Pubblicata in data: 12/01/18

"Every battle that is fought by my people resounds in Rome. With sword and shield the Empire will be banished and the voice of my people will be heard".

Il ritorno degli Heidevolk a tre anni da “Velua” è all’insegna di un semi concept album. “Vuur Van Verzet” ci narra infatti le storie delle popolazioni barbariche venute a contatto con la schiacciante realtà dell’espansionismo dell’impero romano. Da italiani siamo abituati a studiare la storia antica dalla parte dei vincitori, quei romani che hanno portato cultura e pax augustea in tutte le incivili terre del nord Europa. In questo caso la band olandese ci raccontava invece il rovescio della medaglia, ovvero la visione degli invasi, di quelle popolazioni teutoniche che hanno dovuto subire una dominazione armata. Largo quindi, sebbene senza soluzione di continuità, a storie di genti germaniche che hanno strenuamente difeso i propri territori, grazie anche alla natura selvaggia delle foreste teutoniche (“Onverzetbaar” e “Het Oneindige Woud”), o di come i territori dell’impero romano si siano trovati a dover fronteggiare nuove minacce una volta che i romani si sono ritirati a seguito della caduta dell’impero (“Britannia”, “The Alliance”). Ogni brano è una storia a sé stante, slegato dagli altri, ma che rientra nel grosso contenitore che potremmo etichettare romani e barbari. Un puro pretesto per poter narrare racconti eroici che conquistano immediatamente l’ascoltatore.

Gli Heidevolk rimangono fedeli al loro stile musicale. Gli 11 brani di “Vuur Van Verzet” non presentano grosse novità. La formula utilizzata dagli olandesi, che nel corso degli anni ci hanno donato album estremamente coinvolgenti come per esempio “Walhalla Wacht” o “Batavi”, prosegue lungo i binari di un folk metal potente e molto giocato sui cori magniloquenti, ancor più insistiti che in passato. La presenza di un coro maschile di 24 voci rende perfettamente l’epicità della materia trattata: “Yngwaz Zonen”, composta solamente da tamburi rituali e dalla voce solista e del coro, riesce a calare l’ascoltatore nei secoli bui, marcati dalle migrazioni delle tribù alla ricerca di nuovi territori. Non mancano neppure gli elementi folk, con l’uso di un gruppo di archi (“The Alliance”, “Het Juk der Tijd”, “A Wolf In My Heart”), che donano buona varietà alla proposta musicale. La continuità dello stile della band non dovrebbe venire data per scontata, soprattutto vista una certa instabilità nella formazione che ha portato, tra il precedente “Velua” e questo album, ad ulteriori due cambi, con l’arrivo di Jacco de Wijs (ex Conorach) alla voce e Kevin Storm (Cardamon) alla chitarra. Il lavoro di de Wijs alla voce, insieme a Lars NachtBraecker (anche lui discretamente nuovo in formazione, con solo questo disco ed il precedente all’attivo), risulta di buon livello, non facendo quasi accorgere della sostituzione, un po’ come era avvenuto alla partenza di Joris Boghtdrincker 3 anni fa. La vera novità di questo “Vuur Van Verzet” è l’inclusione di un brano interamente cantato in inglese (“A Wolf In My Heart”). Già su “Velua” avevano inserito una bonus track in inglese (“Vinland”), ma con questo brano arriva l’ufficialità con l’introduzione nella tracklist principale, senza contare alcune strofe sempre in lingua d’Albione presenti in “The Alliance”. Quest’ultimo brano merita di essere segnalato anche per la presenza alla voce di un ospite speciale, Alan “Nemtheanga” Averill degli irlandesi Primordial.

“Vuur Van Verzet” riesce a mantenere sempre l’attenzione ben focalizzata. È vario, ben strutturato e, pur non presentando brani che spiccano per qualità al di sopra di tutti gli altri, mantiene un livello qualitativo uniforme. Non abbiamo cadute di stile, ma la mancanza di sferzate di genio lo rende in linea con “Velua” però ben distante da quanto di ottimo fatto vedere in passato.




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