MaterDea
Pyaneta

2018, Rockshots Records
Symphonic Folk Metal

Recensione di Stefano Torretta - Pubblicata in data: 15/06/18

Che i piemontesi MaterDea fossero capaci di dare alle stampe album di pregevole livello era più che assodato, grazie a due perle del calibro di “A Rose For Egeria” del 2014 e di “The Goddess' Chants” di due anni fa. Con “Pyaneta”, quinto album in carriera per il combo power & folk, le due anime sempre ben dosate, e rappresentate fisicamente da Marco Strega (chitarra e voce) e da Simon Papa (voce), si trovano per la prima volta sbilanciate, con un alleggerimento dell’aspetto power, che vira più verso i lidi rock, e di conseguenza un maggior risalto per la componente delicata ed eterea del folk amato dalla cantante. Questo non vuol dire però che il tipico e riconoscibilissimo sound dei MaterDea venga a mancare.

“Back To Earth” e “The Return Of The King” aprono l’album in modo perfetto: dirette, sinfoniche, roboanti quanto basta. “One Thousand And One Nights” e la title track giocano bene con il folk mediorientale, la prima con stili e atmosfere, mentre la seconda con melodie che ci rimandano a quelle terre. “Neverland” riprende prepotentemente l’aspetto folk e l’amplifica, unendolo ad una componente pop che ci rimanda al primo album del combo (“Below The Mists, Above The Brambles”). Se tale aspetto, solitamente più presente nella forma di una semplificazione delle strutture dei brani, non è mai mancato, quasi come una corrente sotterranea, in questo caso esplode di prepotenza andando a mischiarsi col folk e dando vita ad un brano non proprio riuscito, affossato ulteriormente da un coro di bambini che rimanda al peggior pop anni ’80. “S'accabadora” si rivela invece essere un brano molto ispirato, soprattutto sotto la componente folk, con un uso perfetto dei violini, anche se dopo averlo ascoltato diverse volte rimane il grande rammarico che non sia stato cantato completamente in sardo, invece di inserire questa lingua/dialetto solo nella parte centrale. Un po’ di coraggio in più avrebbe sicuramente premiato, visto anche il piacevole uso della lingua italiana e del dialetto che la band torinese ha fatto nella conclusiva “Bourrè Del Diavolo”. “The Legend Of The Pale Mountains” e “Legacy Of The Woods” ci mostrano atmosfere più tristi e malinconiche. Con “Coven Of Balzaares” finalmente Marco Strega si ritaglia un po’ più di spazio alla voce, nella traccia meno solare del lotto che però non decolla mai, rimanendo anche in questo caso un rimpianto di ciò che avrebbe potuto essere. “Metamorphosis” riapre al folk solare, mentre è con la conclusiva e già citata “Bourrè Del Diavolo” che i MaterDea tirano fuori una canzone da taverna o festa contadina, coinvolgente e che vede utilizzato il dialetto. Forse non proprio nello stile più canonico del combo piemontese, però è un piacevolissimo momento di energia e fisicità che troppo spesso sono mancate nelle altre tracce. Ciò che rimane in mente di questo “Pyaneta” è un’eccessiva leggerezza, poca incisività. Se a questo aggiungiamo il fatto che l’interpretazione di Simon Papa si mantiene sui soliti standard, ovvero delicata e soffusa ma poco capace di donare varietà di situazioni e sentimenti, il risultato finale è poco confortante. I momenti migliori sono quando Marco Strega ha la possibilità di contribuire con le sue performance canore e strumentali.

“Pyaneta”, uscito nel decimo anno di carriera dei MaterDea, non è il miglior modo di festeggiare una band che ha già avuto la capacità di mettersi bene in mostra nel panorama folk e sinfonico sia italiano che internazionale. Rimarrà l’album delle possibilità rimaste inespresse. I diversi momenti interessanti riescono a non farlo cadere nell’insufficienza, ma da questa band ci si aspetta molto di più.



01. Back To Earth
02. The Return Of The King
03. One Thousand And One Nights
04. Pyaneta
05. Neverland
06. S'accabadora
07. The Legend Of The Pale Mountains
08. Legacy Of The Woods
09. Coven Of Balzaares
10. Metamorphosis
11. Bourrè Del Diavolo

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