Michael Schenker Fest
Revelation

2019, Nuclear Blast
Hard Rock

Recensione di Luca Ciuti - Pubblicata in data: 20/09/19

Il ritorno sulle scene del Michael Schenker Fest ricorda tanto quelle cene fatte a distanza di anni con i vecchi compagni di scuola: la prima occasione di ritrovo è un'esplosione di emozioni ed euforia, in cui si ricordano i bei tempi andati e ci si diverte come non mai. Al secondo giro la cosa già va a rotoli, i primi malumori serpeggiano, le uscite infelici prendono il sopravvento e rispuntano vecchi rancori mai del tutto assopiti: la magia si perde e si ritorna dritti alla situazione di partenza, ciascuno per la sua strada. Non vorremmo sembrare menagrami per il futuro del progetto che ha riportato in auge il fratellino terribile di Germania, ma il sapore lasciato da questo nuovo "Resurrection" sa tanto di amaro ed è tanto simile a quello appena descritto.

Per uscirsene ad appena un anno e mezzo da un disco eccellente con tredici brani nuovi di pacca, occorre essere parecchio spregiudicati o molto sicuri di sé stessi: di certo a Michael Schenker non fanno difetto nessuna delle due qualità, ma qualcosa a questo giro non è andato per il verso giusto.
Il secondo capitolo della saga ricalca in tutto e per tutto il suo fortunato predecessore, dai quattro cantanti all'ambientazione "liturgica" di titolo e copertina. Unica triste eccezione, l'assenza dello storico batterista Ted McKenna venuto improvvisamente a mancare nel gennaio di quest'anno. Tredici brani, non finiremo mai di dirlo, sono decisamente troppi persino al giorno d'oggi, in cui il concetto di musica liquida ha preso il sopravvento e quello di disco, inteso come opera concettualmente organica, tende sempre più ad andare a ramengo. Non è un caso che il vinile viva la sua seconda giovinezza, dopotutto se uno ha qualcosa da dire, i quarantotto minuti di quel formato sono più che sufficienti e rappresentano un rischio minore rispetto a una tracklist più lunga e quindi a rischio riempitivi. E' un discorso che ci porterebbe lontano, ma che calza a pennello per l'opera in questione. "Revelation" è un disco sostanzialmente privo di sussulti, e questo già lo pone in svantaggio rispetto al fortunato predecessore, che aveva dalla sua alcune prove di livello da parte dei vocalist, ma anche un songrwriting parecchio vario e ispirato. A questo giro, il motore del "Fest" pare essersi inceppato irrimediabilmente su un Graham Bonnet limitato ai registri bassi, su melodie facili e quasi ingenue ("Silent Again", "Crazy Daze") e testi intrisi di spiccia retorica rock n'roll ("We Are The Voice" o la stessa opener). "Resurrection" aveva fatto centro con una sequenza di killer tracks di cui qui non c'è neppure l'ombra: "Rock Steady", "Under A Blood Red Sky", "Silent Again" regalano spunti interessanti e un sufficiente livello di coinvolgimento che sfuma però progressivamente dopo i primi cinque-sei pezzi. Un disco affogato in parti vocali stanche, anthem che stentano a decollare, onnipresenti tempi shuffle che sembrano fare solo la felicità di Michael Schenker, lui sì, sufficientemente in forma quando si tratta di ficcare un solo a metà canzone.
 
Intendiamoci, non c'è niente di sbagliato in un disco come "Resurrection", è giusto mettere al corrente chi legge, dischi come questo hanno vita breve dopo i primi ascolti, giusto il tempo di cantare qualche canzone alla prima data utile per finire nel dimenticatoio dello sterminato catalogo a firma Schenker. 




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