Praying Mantis
Time Tells No Lies

1981, High Vaultage
Heavy Metal

Il tempo non racconta bugie: quella dei Praying Mantis è vera classe
Recensione di Luca Ciuti - Pubblicata in data: 08/06/15

Nelle pagine di questa rubrica siamo soliti tramandare ai posteri le pietre miliari, i dischi che hanno diviso, appassionato, esaltato generazioni di ascoltatori, in una parola che hanno fatto la storia della musica, e che ci sforziamo (compito ingrato) di raccontare in modo sempre diverso. Fra un capolavoro e l'altro spuntano dischi che ricordano quei compagni di scuola un po' anonimi, che nella foto di classe restano sempre sullo sfondo, bloccati dalla timidezza o con gli occhi chiusi, di cui finisci per conservare il ricordo per via di un aneddoto o un elemento che ti colpisce in modo particolare. E’ un paragone che calza a pennello per i Praying Mantis, band cresciuta all’ombra del colosso targato Iron Maiden e spesso relegata al ruolo di parente povero di questi ultimi, complice anche la militanza nelle sue fila di alcuni gloriosi ex membri della Vergine di Ferro. La band nasce da un’idea dei fratelli Troy nei sobborghi di Londra verso la metà degli anni ’70, proprio come tante altre bands poi confluite nella New Wave Of British Heavy Metal: i primi passi nell’underground, un demo registrato con pochi mezzi che finisce nelle provvidenziali mani di Neal Kay, il volàno per il debut e tutto il resto, sono le tappe obbligate di un percorso comune a tante altre giovani promesse finite allora nel dimenticatoio e che hanno caratterizzato una stagione irripetibile.
 
L’esordio risponde al titolo di “Time Tells No Lies” ed è ricordato ancora oggi come uno degli episodi più felici di quella stagione, che non può essere paragonato ad “Iron Maiden” o “Wheels Of Steel” in quanto a importanza storica ma che contiene quei piccoli dettagli che lo fanno resistere alla prova del tempo. Quella che lo concepì non era una band che brillava per qualche dote in particolare: non che fossero scarsi i Praying Mantis, avevano nel loro bagaglio un po’ di tutto quello che serviva per emergere dall’anonimato, la tecnica, il gusto per la melodia, tanta abilità compositiva, tutte caratteristiche importanti che i nostri sapevano dosare al meglio; sarà questo il tratto distintivo dei cinque inglesi, assieme alle copertine di stampo futuristico. “Time Tells No Lies” racchiude tutto l’ardore della NWOBHM di derivazione maideniana ( quello sul “chi ha influenzato chi” sarebbe un dibattito interessante…) ma dalla parte dei Mantis c’è  un’attenzione rivolta con occhio dedito alle melodie pre-AOR e di facile presa. Non è un disco perfetto “Time Tells No Lies” ma è un disco che acchiappa, per i refrain  di “Lovers To The Grave”, per i riff melodici  di “Running For Tomorrow” e “Beads Of Ebony”, oppure per la combinazione efficace di entrambi gli elementi (“Cheated” e “Children Of the Earth”). Le radici dei Praying Mantis affondano negli anni ’70, nelle twin lead guitar di Thin Lizzy e Wishbone Ash e nelle cavalcate degli Status Quo, nelle atmosfere della cover di “All Day And All Of The Night” sapientemente miscelate con l’irruenza del metal inglese e delle melodie di stampo US.

Decine di band hanno illuminato la scena musicale inglese di allora con scampoli di talento per poi svanire nel nulla; i Praying Mantis hanno saputo barcamenarsi in qualche modo, ritagliandosi la propria nicchia di mercato (sono da sempre popolarissimi in Giappone), tenendo fede alle caratteristiche del proprio stile che nasce per l’appunto con “Time Tells No Lies”. Mai titolo fu più azzeccato: se è vero che il tempo non racconta bugie, ci regala un disco ancora stuzzicante ed attuale a quasi trentacinque anni dalla sua uscita. Quanto basta per farne, a suo modo, una piccola pietra miliare.




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