Pyogenesis
A Kingdom To Disappear

2017, AFM Records
Alternative Metal

Recensione di Stefano Torretta - Pubblicata in data: 09/05/17

Eclettismo. Termine che ben poco si sposa con il metal attuale, dove molte band si rinchiudono molto spesso nel già sentito, nel facilmente vendibile. Fortunatamente, grazie ai Pyogenesis, è possibile parlare di eclettismo nel suo significato più ampio. D’altra parte, con una band con un pedigree del calibro del combo di Amburgo, difficilmente si può rimanere insoddisfatti: 26 anni di carriera, ampia discografia tra full-length ed EP, precursori del gothic metal, un passato da band death metal, influenze punk, alternative e pop.

A Kingdom To Disappear” è la seconda parte di un trittico vittoriano - iniziato con “A Century In The Curse Of Time” due anni fa - che dovrebbe concludersi tra poco più di un anno con il terzo capitolo. Già con il precedente full-length la band aveva spiazzato fan e giornalisti presentandosi dopo una lunga pausa durata 9 anni con un album estremamente fresco e vario, che riusciva a legare il passato estremo dei Pyogenesis con un presente più alternativo e leggero. “A Kingdom To Disappear” prosegue su questa strada, rimescolando le carte ancora una volta. La squadra messa in campo è la stessa del disco precedente, con Flo Schwarz alla voce, tastiere e chitarra, Malte Brauer al basso, Jan Räthje alla batteria e Gizz Butt alla chitarra. La presenza di Schwarz è il motivo della riuscita multigenere e multitemporale di questa trilogia di album. Infatti, se Räthje e Butt sono due innesti recenti – entrambi saliti a bordo nel 2015 con il nuovo corso musicale del combo teutonico -, e Brauer è legato al passato più prossimo – è in formazione dal 2002, con all’attivo solo un EP, “I Feel Sexy Everyday”, ed un full-length, “She Makes Me Wish I Had A Gun”, entrambi del 2002 -, il legame col passato è tutto in mano a Schwarz, unico membro originale, in formazione dal 1991. Non stupisce quindi che “A Kingdom To Disappear” sia una gustosa macchina del tempo capace di riportarci a situazioni e temi che hanno caratterizzato il sound degli ultimi 30 anni.

Se l’apertura è lasciata ad un’intro più strumentale che cantata, con un coro finale dal sapore deliziosamente vicino ai Queen, “Every Man For Himself… And God Against All” riesce immediatamente a spiazzare chiunque. Trenta secondi di violento death metal con cantata in growl si apre improvvisamente in una partitura più leggera ed ariosa che però non perde un’angoscia di fondo. Quando si pensava di aver compreso le coordinate musicali dei Pyogenesis arriva un nuovo brano come “I Have Seen My Soul”, capace di gettarci nuovamente nel dubbio. Metal moderno, dotato di una certa pesantezza, capace nel contempo di acquisire gentilezza e delicatezza nel ritornello. Eclettismo da una traccia all’altra, ma anche, e soprattutto, all’interno di ogni canzone. L’ottima tecnica di scrittura della band evita scollamenti tra le singole sezioni, creando così entità perfettamente amalgamate. Ad ogni nuova traccia per l’ascoltatore è impossibile intuire in anticipo cosa lo attenderà. Dal rock adulto di “A Kingdom To Disappear (It’s Too Late)” alla ballad acustica medievaleggiante di “New Helvetia”, dale atmosphere retro anni ’80 di “That’s When Everybody Gets Hurt” al riuscito mix di rock e punk di We “(1848)”, dal death metal macchiato di rock di “Blaze My Northern Flame” al capolavoro conclusivo di “Everlasting Pain”, magistrale suite che riassume ottimamente quando visto nel corso dell’album, tutta la storia e le influenze dei Pyogenesis vengono toccare, rielaborate ed aggiornate.

Otto brani, otto perle che rifulgono, otto composizioni che mutano, ammaliano, ci parlano della passione di una band per la musica. Riuscire a dare una definizione del genere che i Pyogenesis suonano è impossibile, ma il bello di un album come “A Kingdom To Disappear” è anche questo. Vista l’attuale direzione musicale, gli unici elementi che forse risultano un po’ fuori luogo sono i momenti più death, con un cantato in growl ormai anacronistico per la band, ma che in un’ottica diacronica ha un suo perché. Il combo di Amburgo riesce a superare l’ottimo “A Century In The Curse Of Time” donandoci un disco geniale, ottimamente suonato e prodotto, libero da restrizioni, un perfetto capitolo centrale che anticipa una conclusione di questa trilogia dalle altissime aspettative.



01. Sleep Is Good (Intro)
02. Every Man For Himself… And God Against All
03. I Have Seen My Soul
04. A Kingdom To Disappear (It’s Too Late)
05. New Helvetia
06. That’s When Everybody Gets Hurt
07. We (1848)
08. Blaze My Northern Flame
09. Everlasting Pain

Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool