Partiamo da un presupposto importantissimo: Dan Auberbach non è un personaggio qualsiasi. La musica, per usare una metafora Jedi, scorre potente nelle sue vene, e ogni volta che il buon vecchio Dan tocca la sua chitarra è subito un fluire di suoni e di immagini, di amarcord, di pomeriggi su una decappottabile verso il sole, di un amore nuovo, di un pomeriggio al mare. Qualcosa che ci sembra di aver vissuto anche se magari siamo incollati al sedile di un autobus sprovvisto di aria condizionata nel caldo tropicale di Roma.
Il frontman dei Black Keys si fa sempre voler bene, e per quanto non siamo mai riusciti a capire dove finissero i BK e dove iniziasse l'Auberbach solista (collaborazioni? Produzione?), questo "Waiting On A Song" è un album essenziale per la carriera dell'artista americano. Un disco che è un "Best Of" pur senza esserlo, un album che come una ventata di caldo di fine estate racconta in neanche mezz'ora l'intera carriera, le influenze e lo stile di Dan. A fiotti di anni '60, quelli della title track, o di "Shine On Me", sfacciato Surf-Rock da vestito lungo-ma non troppo, un vedo/non vedo da ballo difronte ad un Juke Box con cui il disco fa girare la testa subito. Come non stupirsi per quella delizia di "Livin' In Sin"? Piccolo gioiello dimenticato in una vecchia scatola in cantina, assieme ad un fazzoletto rosso per la testa ed un paio di occhiali tondi. "Cherrybomb", con i suoi ticchettii di percussioni interrotti solo dal granuloso assolo di Dan e "Stand By My Girl" sono chiuse in un involucro a stelle e strisce amaro come Senape, ma che continuiamo a "spremere" sino alla nausea. E per non farci mancare nulla c'è sempre un'anima acustica che il buon Dan custodisce gelosamente e che non sempre ci dà modo di vedere, ma che quando vuole regala ulteriori sfumature da scoprire nell'album: "King Of A One Horse Town" e soprattutto "Never In My Wildest Dream", (dove a scaldare l'atmosfera ci sono anche interventi di strumenti a fiato) sono da ballare con le mani saldamente sui fianchi della propria lei, rigorosamente in abito rosso, mentre si guarda il cielo. Il confine va oltre con "Malibu Man", con quei violini che gridano alla fine dei '60, e alla prima disco music, un po' stucchevole ma da non buttare via.
Un viaggio da fermi, costellato di immaginazione e utopia. Un sogno americano. Ecco cosa è questo disco. Un'antologia del periodo più iconico di una nazione intera e della musica del sempre sorridente Dan, dove la voglia di impastarsi la bocca di burro di arachidi, di pic-nic su tovaglie a quadri bianchi e rossi e magari di salire su una tavola da surf, anche a costo di rischiare qualche costola, ci assalgono dall'inizio alla fine. Certo, per chi non ama gli States e i '60 questo disco altro non è che un ammasso di cliché da tenere lontano come la peste, gli stessi cliché di cui ci siamo divertiti ad imbottire questa recensione, eccessivi ma libidinosi come l'American Life di un tempo vorrebbe! Ma siamo sicuri che anche per una spiaggiata all'italiana, di quelle con la frittata di pasta sotto il braccio, il Super Santos e fisici non proprio scolpiti, questo album può essere una fantastica colonna sonora oltre che un ottimo scaccia-pensieri. "Waiting On A song" trasuda una spensieratezza di cui, oggi, sentiamo molto la mancanza, e non solo parlando di musica. Consigliatissimo!